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Vecchioni: “Quella volta che mi circondarono le prostitute. Sanremo? Capii di vincerlo…”

Marco

Sanremo è anche il festival. E lei, unico tra i cantautori storici, l’ha vinto. Come andò?

«Sono sempre stato amico di Gianni Morandi. Andavamo anche in vacanza insieme, a Gallipoli e pure in Libia, quando c’era ancora Gheddafi… Nel 2010 Morandi comincia a rompermi le scatole: l’anno prossimo il festival lo faccio io, e tu devi portare una tua canzone. Il problema è che la canzone non l’avevo».

E poi?

«Ero in hotel a Roma. Angosciato per quanto accadeva nel mio Paese. Era arrivata la grande crisi finanziaria dall’America, molti operai perdevano il lavoro, il governo Berlusconi non era all’altezza. Il portiere napoletano mi disse: “Adda passà ‘a nuttata”. In ascensore ho tradotto: “Questa maledetta notte dovrà pur finire…”. In camera l’ho scritta. Alle 4 del mattino ho chiamato il mio arrangiatore per cantargliela. Poi ho telefonato a Morandi: “Gianni, ho la canzone per Sanremo”. Cominciai a sognare di vincerlo».

Nel sonno?

«No, a occhi aperti. Come un bambino. Immaginavo di ricevere un’ovazione a Sanremo e di vincerlo clamorosamente. Arrivai al festival, provai la canzone, poi andai al ristorante, mezzo vuoto. Ma dopo la prima serata in cui avevo cantato “Chiamami ancora amore” — con addosso una paura terribile, perché non si ha idea della paura che ti mette Sanremo —, fuori dallo stesso ristorante c’erano duemila persone ad aspettarmi. Capii che il sogno si stava avverando».

Quante canzoni ha scritto?

«Almeno trecento; e ognuna racchiude un ossimoro, ognuna ha il suo mistero. Più dieci romanzi. L’anno prossimo Einaudi pubblica tutte le mie poesie: ne scrivo da quando avevo otto anni, le ha tenute mia madre Eva. L’altra sera non riuscivo a dormire, sono andato a bere un po’ d’acqua, e in dieci minuti ho scritto una lirica di otto versi».