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Vecchioni: “Quella volta che mi circondarono le prostitute. Sanremo? Capii di vincerlo…”

Marco

Suo padre torna in un’altra canzone, «L’uomo che si gioca il cielo a dadi».

«Papà si giocava qualsiasi cosa. In montagna, con la scusa di far respirare aria buona ai figli, prendeva casa davanti al casinò di Saint-Vincent. Alla vigilia della maturità mi vide triste e mi portò cinque giorni a Parigi, a giocare ai cavalli a Vincennes, e poi a vedere Rosa Fumetto: ricordo quella donna stupenda, che passeggiava nuda su una rete distesa sopra di noi… La maturità comunque andò benissimo».

Lei sta da quarantatré anni con la stessa donna, Daria Colombo.

«Quando la vidi pensai: ma davvero esiste una creatura così? Non avevo mai visto una donna tanto bella in vita mia. La chiamai, le chiesi di uscire. Il mattino dopo la richiamai: “Vuoi uscire anche stasera?”. È stato un corteggiamento lungo. Una battaglia. Ma sapevo che era la mia compagna. Infatti mi ha salvato la vita, tante volte».

Allude alle sue malattie?

«Quello è niente. Prima di ogni operazione, al polmone, al rene, alla prostata, al cuore, lei mi ha sempre fatto coraggio, “cosa vuoi che sia?”. Sono sempre entrato in sala operatoria ridendo”. Ma alludo soprattutto ad altro. Agli errori che mi ha evitato, alla vicinanza nei momenti bui, a come mi ha sostituito quando non c’ero…».

Avete anche perso un figlio, Arrigo.

«Un ragazzo che non apparteneva a questo mondo: per discrezione, generosità, senso dell’umorismo. Era fantastico con i bambini. Vale per lui quello che ho scritto in una canzone per Van Gogh: “Questo mondo non si meritava un uomo bello come te”. Arrigo era un grande scrittore, ha composto poesie straordinarie. Ed era un grande interista».

L’ha portato a vincere la Coppa dei Campioni a Madrid nel 2010.

«Ho portato tutta la famiglia. Abbiamo chiuso un ciclo, aperto al Prater nel 1964. Anche allora c’ero».

In una bella intervista a Walter Veltroni, lei disse di sentire ancora suo figlio dentro di sé.

«È vero. Durante il giorno mi faccio forza, anche per mia moglie. Inoltre lavoro moltissimo ma qualche notte, quando Daria dorme mi ritrovo a piangere, lei non si dà pace e così è da oltre un anno. Non avevamo mai pensato al suicidio. La malattia mentale viene ancora affrontata come una vergogna; invece se ne deve parlare. Forse io e Daria scriveremo un libro. Un tempo io bevevo soprattutto superalcolici, lui soffriva nel vedere il suo papà, una persona importante, che si distruggeva così, di certo anche io ho le mie colpe».