
«Ho il privilegio di poter scegliere i progetti. Il primo criterio è cosa andiamo a raccontare, se è qualcosa che ha senso. Poi la scelta passa alle persone, se vado d’accordo con il regista e il cast, se il progetto è in sintonia con il mio modo di vedere la vita, di interagire. C’è stato un tempo in cui la scelta era legata al fatto di non dovermi trovare a più di un’ora di distanza dai miei figli. Ma, in generale, la domanda di partenza è: ne vale la pena? Il nostro non è un lavoro facile, richiede un grande sforzo. Se ripenso alla mia carriera, dei film che ho fatto devo essere onesto e ammettere che in qualche caso no, non ne valeva la pena. Avrei dovuto rifiutarli. Ma il più delle volte il senso di aver fatto quel determinato film lo trovo». In quest’ultimo caso la sintonia è stata totale. Schrader ha raccontato: «Ero seduto accanto a Richard quando Ethan (Hawke; ndr) stava ritirando un premio per First Reformed. Richard si è chinato verso di me e mi ha chiesto: “Come hai fatto a convincerlo a fare così poco?”. E quando Richard ha accettato di fare Oh, Canada, gli ho detto: “Ti ricordi quando me l’hai chiesto? Ora lo scoprirai”».