«Ritrovarci dopo oltre 40 anni sul set è stato bello. Siamo un po’ più incrostati ma una volta capito cosa volevamo fare, tutto è filato liscio. Non è uno di quei registi chiacchieroni, Paul. Quando gira sa bene cosa vuole dagli attori. Lui vive nel mondo che si è costruito. Il cinema è stata la nostra vita, siamo movie guy, come i protagonisti del nostro film». Che invita a riflettere sul tempo, la memoria, il concetto di verità, le scelte fatte e l’effetto che hanno avuto sugli altri. «Mi ha appassionato anche il fatto che fosse un’opera sulla natura del cinema, a partire dal ruolo della telecamera. La sua ultima sfida intellettuale, che continua a rilanciare quando ammette: posso essere onesto solo quando la telecamera mi inquadra, solo se è accesa e se mia moglie mi guarda. Come dire, ho bisogno di una telecamera e di un pubblico. Allora sì che esisto».
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Richard Gere: “Ho sbagliato tante cose ma non ho rimpianti”. Errori, segreti e non solo

«Penso che lo facciamo un po’ tutti, no? Tendiamo a reinventarci, a cercare di dare un’immagine diversa di noi, provando a essere fedeli a questa immagine. È qualcosa con cui dobbiamo convivere. E capisco che a una certa età vuoi provare a confessare tutto, soprattutto con chi ti sta vicino. Vuoi mettere a posto le cose. Leo lo fa con Emma, vuole che lei sappia tutto, ogni dettaglio. Senza capire che forse lei sa già quello che deve sapere, lo conosce meglio di quanto lui si conosca». Si trova a fare i conti con i rimpianti. Questo aspetto però non appartiene a Gere. «Vengono in superficie a volte cose che vorrei non aver fatto o che avrei potuto fare o gestire meglio. Ma non mi soffermo su questo. No, direi che non sono uno che vive di rimpianti».
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