
Ai microfoni de La Gazzetta dello Sport, Marcell Jacobs, atterrato a Parigi ieri sera, ha parlato così in vista dell'inizio della sua Olimpiade.
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Ai microfoni de La Gazzetta dello Sport, Marcell Jacobs, atterrato a Parigi ieri sera, ha parlato così in vista dell'inizio della sua Olimpiade.
Marcell, com’è stato l’impatto con il Villaggio?
«Rispetto a Tokyo, dove tutto era limitato dalle restrizioni Covid, c’è ben altro ambiente. Ho voglia di goderlo: l’atmosfera è magica, anche se sulla qualità della ristorazione il giudizio non è propriamente positivo».
La fermeranno per selfie e autografi, come succede a tutte le grandi stelle...
«È già successo, con atleti di sport diversi. Ed è stato un piacere. Non mi sottrarrò ad alcuna richiesta, fa parte del mio carattere. Del resto, se incontrassi LeBron James, mi farei subito avanti».
Dovrà difendere il titolo più prestigioso e appare super rilassato: non avverte pressione?
«Com’è normale che sia. Ma negli anni, grazie pure al lavoro con la mia mental coach, ho imparato a gestirla. Anzi, a trasformarla in energia positiva. Se ho vinto da outsider, posso rivincere da campione».
Cosa le ha lasciato in eredità l’oro giapponese?
«Sognavo di vincere l’Olimpiade da quando avevo nove anni. Esserci riuscito mi ha dato tanta autostima e fiducia. Resta che sono sempre me stesso».
In giugno ha corso i 100 in 9”92, come non faceva proprio dai giorni magici di Tokyo: tanti però, in stagione, sono andati più forte. È preoccupato?
«Ricordate Bromell tre anni fa? Si presentò con un 9”76 e ai Giochi nemmeno entrò in finale. Però è vero che il giamaicano Thompson, col suo 9”77, merita il massimo rispetto. Temo più lui di Lyles, che è un campione, ma che a volte, cede sotto il peso delle responsabilità».
Che tempi serviranno per salire sul podio?
«Nessuno, dopo Tokyo, in una grande rassegna, ha ripetuto il mio 9”80. Non penso serviranno prestazioni superlative. Diciamo un 9”85. Il turno più complicato rischia di essere la semifinale: saremo in 15-16 per otto posti. Poi, superato quello scoglio, ci presenteremo tutti sullo stesso piano. E vincerà chi sarà più solido di testa e commetterà meno errori».
Come gestirà i turni?
«La batteria, a seconda della composizione, potrà forse essere controllata. Poi non ci si potrà risparmiare. Si dovrà andare oltre i propri limiti».
La pista color viola la ispira?
«L’ho solo vista in foto: l’effetto ottico è grandioso».
Qual è, in assoluto, il suo obiettivo?
«Quelli del 2024, dopo i tanti cambiamenti voluti alla fine della scorsa stagione, erano tre: restare in salute dopo tanti infortuni, vincere gli Europei in casa e riconquistare il titolo olimpico. I primi due, allenandomi con una continuità sconosciuta, li ho centrati. Adesso, toccando ferro, inseguo l’ultimo».
È nella condizione in cui sperava di essere?
«Forse la migliore della mia vita: preparo questo appuntamento da mesi, quel che c’è stato prima sono state tappe di avvicinamento».
Negli ultimi giorni ha lavorato al Centro d’altura del Terminillo, a 1550 metri, non lontano da Rieti, base estiva del suo gruppo, dove venti giorni fa ha simulato i tre turni olimpici in 24 ore, con un 10”08 finale: ha limato i dettagli ai quali, allora, aveva fatto riferimento?
«Quel risultato vale un decimo in meno: la nuova pista di Rieti, perfetta per allenarsi, non è ancora performante. Ciò detto, poi ho fatto dei 100 scomponendoli con le fotocellule. Alcuni riferimenti sui picchi di velocità sono stati i migliori di sempre. E anche il primo allenamento qui mi ha soddisfatto».
In cosa è consistito?
«In esercitazioni varie e due allunghi sui 90 metri. Ho ancora da “pulire” la fase di transizione tra i 15 e i 20. C’è uno stallo da superare. Coach Reider dopo il primo voleva mi fermassi. Il secondo è andato meglio...».
Allarghiamo il discorso: per la prima volta nella storia olimpica, proprio la federazione mondiale dell’atletica introdurrà premi in denaro: 50.000 dollari per ogni vincitore. Cosa ne pensa?
«Non posso che essere favorevole. A differenza di altre discipline, le possibilità di guadagno per noi non sono tante: le sponsorizzazioni, i meeting di Diamond League e poco altro. È giusto avere altre opportunità. Spero si tratti di un passo iniziale».
Molti le chiedono dell’esperienza in Florida...
«Rispondo che la scelta, dopo qualche aggiustamento, anche da un punto di vista personale e familiare, s’è rivelata assai fortunata».
Poi vogliono sapere se ha apprezzato la serie Netflix sullo sprint che la vede protagonista.
«Sì, perché mostra in modo credibile il dietro le quinte di noi atleti di vertice. Coi nostri limiti e le nostre debolezze. Non siamo macchine, ci infortuniamo. La gente a volte non lo capisce. Ed è questo che, in passato, nel mondo social, più mi ha ferito».
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