L'intervista al frontman del gruppo, Riccardo Zanotti, arriva dal quotidiano La Repubblica e si parla del genere musicale di questi 'bravi ragazzi' che scalano le classifiche senza fare dissing
«Buoni” è un parolone. Gli altri giocano ai cattivi, noi siamo persone qualunque, che al posto di usare l’autotune si prendono rischi in più ma senza voglia di prevaricare, o fare dissing». Così Riccardo Zanotti, il leader dei Pinguini Tattici Nucleari, ha parlato in un'intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica. Il gruppo, originario di Bergamo, sarà negli stadi dal 7 giugno. «La polemica sul rap e la presunta violenza nei testi? Amo il rap e c’è spazio per tutti. Non è una gara. Però l’iperrealismo crudo di alcuni testi va bene fino a un certo punto: non sempre le persone hanno gli strumenti per capire che è finzione, a 13 come a 60 anni. E poi la musica, nel nostro caso, ha il dovere di astrarsi, dare speranza, immaginare un mondo migliore. O almeno il pop, che è sempre meno», ha sottolineato riferendosi alle polemiche per la presenza di cantanti con certi testi anche al Festival di Sanremo.
Pinguini in estinzione
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«Se siamo in via d'estinzione? In classifica noi, Calcutta, Ultimo e pochi altri. Sarebbe bello avere più tutele e vale anche per i testi offensivi», ha aggiunto Zanotti. «Abbiamo realizzato il nostro sogno costruendolo dalle fondamenta. All'inizio ai concerti c'erano quattro persone, ma abbiamo imparato tanto, abbiamo imparato a coinvolgere il pubblico nonostante una situazione imbarazzante. È più difficile far fare un coro a 4 persone. Noi gli eredi degli 883? Max Pezzali è un amico, tra provinciali ci si riconosce. La prima volta ci invitò a cena nel 2018 ed eravamo perfetti sconosciuti. È una persona umile, aperta alla vita, un buono. Io invece sono un malfidato. Ho sempre paura che qualcuno mi freghi», ammette il Frontman.
Sulla partecipazione a Sanremo 2020, l'edizione senza pubblico causa scoppio della pandemia da Coronavirus, infine ha detto: «Non è stato difficile. I parenti erano entusiasti. Provavamo la notte, tra una diretta e un’altra, per il nostro primo tour nei palasport, che sarebbe cominciato di lì a poco. Poi è arrivata la pandemia e per partire abbiamo atteso due anni. Una sberla».