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Ora che il procedimento è chiuso, il titolo originale verrà ripristinato.
“Ora la serie potrà riappropriarsi di un elemento che è fondamentale per la sua identità. Il titolo non è solo un nome: è parte integrante della narrazione e del messaggio dell’opera. Censurarlo equivale ad amputare un’opera d’arte, a limitarne la portata espressiva”.
Durante la produzione, quali erano stati i rapporti con Avetrana e i suoi abitanti?
“Abbiamo scelto di non girare ad Avetrana per rispetto nei confronti della comunità e della famiglia della vittima. Abbiamo ricostruito l’ambientazione in altri paesi limitrofi perché ci sembrava più delicato evitare di riportare le riprese nei luoghi reali della vicenda. Non è questione di aspettarsi o meno una reazione del genere. Il punto è che le storie vanno raccontate. Questa serie non parla solo di un caso di cronaca nera, ma racconta anche l’impatto che ha avuto su un’intera comunità. L’arte, il cinema e la letteratura servono anche a questo: a farci confrontare con la nostra storia e con le dinamiche sociali che la attraversano”.
Le polemiche hanno danneggiato la serie?
“Sì, all’inizio c’è stato un forte clamore, nato ancora prima che la serie fosse trasmessa. Molti si sono schierati senza neanche aver visto il prodotto, basandosi solo sul titolo o sul poster. È stato un caso di giudizio preventivo che ha creato una certa diffidenza. E poi abbiamo dovuto slittare l’uscita”.
(Repubblica)
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