Credi che il tuo impegno e i tuoi risultati nella pallacanestro ti abbiano rubato l'infanzia e l'adolescenza?
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Valentina Vignali diventa attrice: “Mi diverte, amo le sfide. Haters? Importante imparare a…”
La pallacanestro mi ha fatto crescere prima dei miei coetanei. Grazie al basket, ho avuto già da piccola l'opportunità di viaggiare, e quindi di avere una mia indipendenza. Quando vai all'estero con la squadra per un torneo e hai 15, 16 anni, magari impari a fare la lavatrice o comunque ti devi organizzare, per esempio con i pasti o con la valigia, e quindi maturi presto. In più, a 19, 20 anni sono andata via di casa, perché il fatto di essere stata sballottata di qua e di là mi ha fatto capire subito cosa volevo e mi ha dato il mio posto nel mondo, e quindi già a 20 anni mi sono sentita adulta e più avanti delle persone della mia età.
Ti mancano le cose che non hai fatto per via del basket? Hai dei rimpianti?
Sono una persona che non ha molti rimpianti, perché tendo a godermi l'attimo, faccio tutto quello che mi va di fare e dico sempre ciò che penso, e questo mi porta a vivere la vita al massimo e a non avere ripensamenti. Inoltre prendo le decisioni in fretta, senza rimuginare. Ammetto però che la pallacanestro mi ha tolto, durante l'adolescenza, tanti momenti belli che non torneranno più. Molte volte ho detto di no a un compleanno o a un'uscita con gli amici. Continuavo a ripetere alle amiche: "No, domani ho l'allenamento", "No, ho la partita", "Non posso", "Non posso", "Non posso". Ho perso le feste dei 18 anni di tante compagne di scuola, ma la vita, purtroppo, è una coperta corta: se tiri da una parte, ne lasci scoperta un'altra.
I personaggi di Timor sono ragazzi insicuri, che piuttosto che stare in mezzo alla gente, e quindi esporsi a eventuali critiche, preferiscono rimanere dentro casa. Perché, secondo te, si teme così tanto il giudizio altrui?
Le persone sono insicure e hanno paura del giudizio esterno, e credo dipenda dal fatto che siamo figli di Internet, e Internet, con la libertà di parola che consente, è un'arma a doppio taglio, perché ognuno può esprimersi come crede, ma poi sui social capita di leggere cose molto brutte. Parlo spesso di questo, perché sono convinta che rappresenti un pericolo. Credo sia molto importante imparare a difendersi dagli hater, perché magari a 30 anni hai le spalle larghe, un lavoro, degli amici e una carriera, e quindi sopravvivi, ma quando di anni ne hai 18 e non hai ancora trovato il tuo posto nel mondo, leggere un certo tipo di commenti su Internet può essere deleterio. Quindi credo che la fragilità dei ragazzi di oggi dipenda un po’ dai social e un po’ dai continui paragoni con gli altri. Mi sembrano inutili, tanto c'è sempre qualcuno più bello, più magro, più di successo, più ricco o più simpatico, e questo insieme di fattori spinge le persone a sentirsi sempre in soggezione di fronte al prossimo. In passato anch'io ho sofferto per i commenti e i giudizi degli altri. Ero più fragile e più piccola, e ancora adesso mi dà fastidio leggere cattiverie sui social.
Che poi la paura del giudizio degli altri spesso si accompagna a un senso di inadeguatezza e alla paura del fallimento…
Non so spiegare il motivo, ma non ho mai avuto il timore del fallimento. Rihanna si è tatuata una frase che dice più o meno così: "Non è mai un fallimento, è sempre una lezione". Ogni volta che mi butto in qualcosa, so che lo faccio al 100%, al massimo delle mie potenzialità, e quindi lo considero comunque una vittoria. Quando accetti una sfida, impari qualcosa anche se perdi. Puoi migliorare la volta successiva, oppure capire che quella sfida non fa per te e quindi cambiare strada. Perciò, più che nel fallimento credo nella crescita, nel cambiamento, nell'imparare la lezione.
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