Matteo Berrettini parla in esclusiva alla Gazzetta dello Sport. Del suo ritorno, di Sinner e non soltanto.
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Berrettini: “Ero scoppiato, facevo lo spettatore. Sinner? Mi domando se…”
Matteo, un anno fa era spettatore. È arrivato finalmente il momento di essere protagonista?
"Sì, spettatore in tribuna. Sappiamo di avere una delle squadre migliori della competizione, abbiamo il giocatore più forte del mondo e posso assicurare che entrare in campo con lui dà sempre un grande senso di sicurezza. Però la Davis è un animale strano, può succedere di tutto. Intanto mi godo la gioia di essere in squadra".
Tra lei e Sinner c’è un’energia palpabile, da che cosa nasce?
"Jannik è un ragazzo speciale, anche se è il numero 1 si comporta con l’umiltà dell’ultimo arrivato. Sto prendendo spunto dalla sua voglia di migliorare sempre. Uno così lo guardi e ti domandi in cosa potrebbe crescere ancora, eppure lui cerca sempre di fare di più. È un’ispirazione".
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Il suo è stato un anno di rinascita. Ha cambiato tutto, e pian piano ha riconquistato pezzi di sé.
"È stato un anno molto positivo, bisogna sempre considerare da dove si parte. In passato ho raggiunto risultati più importanti di quelli avuti quest’anno, ma stavolta partivo da una base traballante. Abbiamo ricostruito tutto da capo, dalle fondamenta del mio tennis, della motivazione e della forza mentale. Per questo penso sia stato uno degli anni più belli della mia carriera per l’energia che ho ritrovato. Però il bilancio facciamolo alla fine della settimana...".
È un anno che l’ha cambiata, ora sembra apprezzare di più ogni traguardo.
"La vita è sempre una questione di equilibrio. Per esempio essere cattivo in campo, ma fare in modo che questa cattiveria poi non ti avveleni la vita. Prima era una continua ricerca a ottenere sempre di più, fino a che non sono scoppiato. Adesso sono molto più centrato, a fuoco su quello che sto facendo e sulla persona, e il giocatore, che sono".
Lei in passato ha detto più volte che stare in squadra anche senza poter giocare la aiutava a “guarire”.
"È così. La squadra aiuta tantissimo perché non siamo un gruppo soltanto nel momento della Davis, ma tutto l’anno. Ci supportiamo tutti l’un l’altro ma non solo per fare il tifo. È un consiglio, un appoggio nel momento di difficoltà, un confronto. E penso che sia fondamentale per essere migliori e per crescere sia dentro sia fuori dal campo".
Contro l’Australia lei sarebbe disponibile a fare singolare e doppio?
"Io sono disponibile a tutto. Singolare, doppio, anche a fare il capo ultrà coi tamburi se il capitano me lo chiede. Accetto qualunque decisione per il bene della squadra: giocare tanto, poco, non giocare. Sono pronto a tutto e le decisioni, per fortuna, le prende Volandri".
Le piacerebbe, un giorno quando sarà grande, fare il capitano di Coppa Davis?
"Intende dire fra 30 o 40 anni? Sì, sarebbe un’esperienza molto interessante e credo che mi potrebbe calzare bene. Perché mi piace l’energia del gruppo. la mentalità di squadra, anche se resta comunque uno sport individuale perché ci sono due singolari. Adesso lasciamo Volandri vincere altre mille Davis, poi quando proprio non ne vorrà più sapere, allora ci farò un pensierino".
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