
Le tv locali che all'epoca pullulavano nell'etere romano rimasero spiazzate, ricche com'erano di video cassette con le prodezze di Zico ma senza immagini di quello che, invece, era stato il nuovo acquisto, presentatosi in via del Circo Massimo assieme all'avvocato Cristoforo Colombo, e quel giorno nacque la figura del procuratore. Ma bastò vedere Falcao in campo per la prima volta con la maglia della Roma e i tifosi della 'Magica' si innamorarono subito di lui. Quel giocatore con la maglia n.5, infatti, smistava il pallone sempre di prima, non aveva paura dei contrasti e anzi li cercava esibendosi anche nel 'carrinho', si smarcava con facilità perché correva di continuo, non tentava mai giocate a effetto o dribbling, raramente si esibiva nei colpi di tacco ma quando lo faceva era pura magia, come quando, con una prodezza del genere, mandò in gol Pruzzo.
Anche per questo, e per aver trasformato la 'Rometta' facendola diventare una squadra da scudetto, uno vinto e un altro (quello del gol annullato a Turone) ancora rimpianto, la passione della gente della Roma per Falcao non è mai venuta meno, e lo si vede ogni volta che torna invitato per qualche evento. Al Divino è stato perdonato perfino il fatto che non abbia voluto tirare il rigore nella finale di Coppa dei Campioni persa dal dischetto, e in casa, contro il Liverpool, il ricordo più doloroso per tutti i romanisti. "Avevo i crampi, e poi io non sono mai stato un rigorista", spiegò il Divino, protagonista contro i Reds di una prestazione non all'altezza. Ci fu anche chi scrisse che pensava già al trasferimento all'Inter, poi non concretizzatosi per l'intervento del romanista eccellente Giulio Andreotti.
In Brasile lo aveva scoperto, e lanciato nella prima squadra dell'Internacional, un altro campione che di Falcao fu il modello, ovvero Dino Sani, e subito era stata Olimpiade, quella di Monaco 1972 con la Seleçao. Poi l'antipatia reciproca con il ct dell'epoca Claudio Coutinho, un duro ex capitano dell'esercito, gli era costata la convocazione per i Mondiali del 1978 in Argentina. Quattro anni dopo, invece, prese parte a quelli del 1982 in Spagna, aveva la maglia n.15 perchè il 5 era di Cerezo e l'altro titolare all'inizio era Batista, ma ben presto soffiò il posto a colui che l'anno dopo sarebbe andato a giocare nella Lazio. Così Falcao rischiò di diventare il 'killer' dei sogni di gloria dell'Italia di Bearzot, con quel gol al Sarrià che scatenò la torcida fino al terzo capolavoro di Paolo Rossi.
Il due volte 'Boula de Oro' da Porto Alegre venne convocato anche per Messico '86 ma non era in condizione per via di ricorrenti problemi alle ginocchia, e nel match decisivo con la Francia gli venne preferito Elzo, suo presunto erede anche nell'Internacional. A quei tempi l'accordo con la Roma era già stato rescisso per "inadempienza contrattuale", la Fiorentina dei Pontello non aveva voluto offrirgli un ingaggio perché non si fidava, alla fine il Divino era andato al San Paolo. Poco importa, perché per la gente di Roma sponda giallorossa Paulo Roberto Falcao rimane un unico grande amore, di quelli che, come recita una delle canzoni dedicate alla squadra, "ti fanno sentire importante anche se non conti niente".
(Fonte: ANSA)
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