Da Udine ha spiccato il volo verso i Lakers, il suo sogno.
"Da quando avevo 13 anni. Una squadra iconica. Amavo Magic Johnson, Michael Jordan e Larry Bird, i miti. Volevo Phil Jackson. Al quale devo tanto, tutto. I sogni li ho realizzati. Ho vinto due anelli di fila, cosa che capita a pochi. Ho giocato con Kobe. Volevo vincere, ho vinto".
E l’hanno ribattezzata The machine.
"Furono i giornalisti di Los Angeles dopo una partita a Chicago. Phil mi disse che dovevo anche difendere. Ecco, lì feci un paio di recuperi importanti. Ho lavorato con un motto: entrare per primo in palestra, uscire per ultimo. Tiravo tanto, mi allenavo alle 5 del mattino".
È stato per anni la spalla di Kobe Bryant, era il suo cambio.
"Ma abbiamo pure giocato tanti minuti insieme. Ci siamo capiti dal primo giorno. È stato un fratello maggiore per sette anni. Dopo la sua morte, per due anni sono stato quasi in silenzio. Ora sento che ci guarda da sopra".
A Los Angeles ha incontrato pure Maria Sharapova, allora icona del tennis. Un storia di tre anni. Lei era più nota di Sasha.
"Ma no. Sono sempre rimasto Vujacic il cestista dei Lakers e forse non le stava bene. Tre anni, sì, ma un capitolo chiuso. So che ha scritto in un libro alcune cose poco carine. Non ho mai risposto".
Oggi Vujacic è single.
"Felicemente. Non ho ancora trovato la persona giusta. Tanta pazzia in giro".
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