Una metafora della vita. Il primo tempo è quello legato ai ricordi del calcio giocato, il secondo lo ha vissuto dopo la malattia. "Avere la famiglia accanto è la medicina migliore, non vedevo l'ora di lasciare l'ospedale e tornare a casa.
Un paziente guarisce molto più facilmente", ha raccontato Tacconi che si è poi soffermato su quel drammatico giorno del 22 aprile: "Avevo un mal di testa fortissimo dal mattino, ma dovevo partecipare ad un evento benefico.
Sono andato e sono crollato a terra. Fortunatamente mio figlio sapeva come comportarsi con le operazioni di primo soccorso. È stato molto bravo e ha avuto una grande forza, ma per lui è stato un grande spavento", le sue parole. Da lì comincia una nuova fase. I tempi supplementari, cioè la fisioterapia.
Mancano i tiri dal dischetto: "Quando butterò via la stampella forse sarà come parare un rigore". Il mondo del calcio gli è stato vicino: "Mio figlio ha ricevuto tantissime chiamate. Anche Vialli e Schillaci avevano fatto un videomessaggio per me. Sono due messaggi che tengo nel cuore". Tra progetti futuri ("Vorrei aprire un ristorante") e ricordi del passato ("Alla Juve c'era l'obbligo di vincere sempre"), emerge anche un commento sul calcio di oggi: "Mi annoia e non mi piace.
Partono tutti dal portiere e nessuno tira in porta. Portieri? Mi piace Carnesecchi, potrebbe essere il mio erede. Mi assomiglia e sta parando bene e ha la fortuna di giocare in una squadra in forma come l'Atalanta".
(Fonte: Italpress)
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