Poi nel 2016 la positività (questa volta al testosterone) da sempre contestata dall'azzurro che fino alla fine ha cercato di dimostrare che erano stati alterati i campioni. Una vicenda che ha viaggiato ben lontano dalle piste di atletica, per diventare libri, una serie di Netflix, documentari quasi sempre dalla parte di Alex. C'è chi ha scritto che "tenere Alex lontano dai Giochi è un'offesa all'umanità e alla bellezza", ma alle Olimpiadi Schwazer ha dovuto rinunciare (l'ultimo no quello del Tas). Allenandosi tutti i giorni, chilometri e chilometri, ha alimentato la speranza naufragata di andare ai Giochi di Parigi, possibile e certo umano che ora il sogno sia tornare a competere da atleta.
"Ringrazio tutti quelli (pochi) che mi sono stati vicini in questo doloroso (ed infernale) percorso - dice l'ex azzurro -, quelli che non mi hanno mai abbandonato, quando sarebbe stato facile farlo, quelli che hanno lottato con me e sofferto assieme a me per l'ingiustizia che dovevo sopportare e per il trattamento che mi veniva riservato; ringrazio infine quelli (molti) che dopo aver compreso la mia innocenza ed estraneità ai fatti di cui ero stato accusato, mi hanno fatto sentire (seppur a distanza) il loro affetto e vicinanza, grazie! Il buio e le tenebre per l'ingiustizia subita faranno ora posto alla luce di un nuovo giorno nel quale potrò accompagnare i mei figli a gareggiare in una piscina o in una pista di atletica senza per questo incorrere in squalifiche (cosa che sarebbe avvenuta fino a ieri)". Firmato: "Alex". Già, i figli, i piccoli Ida e Noah, la prima luce nella seconda vita di Schwazer.
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