David Bowie, che hanno affinità con gli inizi della sua carriera. Li ha mai incontrati?
—«Bowie purtroppo no, ma mi ha fatto sentire meno solo, non soltanto per l’estetica ma anche per il coraggio. Anche lui vestiva panni molto eccentrici: siamo appartenuti a noi stessi, alla nostra fantasia, a un’onestà professionale che impedisce di copiare. Elton invece l’ho incontrato tre o quattro volte, a un certo punto voleva che andassi in tour con lui ma le date non coincidevano. È stato il primo a darmi la liberatoria per i diritti del brano, mi ha sempre stimato».
I suoi concerti sono ancora un evento collettivo: la vicinanza tra lei e il suo pubblico è fortissima.
—«Le confesso una cosa: non amo più gli stadi. Non riesco ad avere quel contatto stretto e necessario con la gente. Fare un tutto esaurito in un palazzetto è un grande vantaggio per un musicista, perché l’emozione arriva forte, la dimensione raccolta facilita. Lo dico a tutti: non allontaniamoci dal pubblico, più l’artista è vicino più ti tatua addosso l’emozione. Le 100 mila persone che faccio in cinque giorni è come se me le portassi tutte a letto».
(Fonte: Repubblica)
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