I quali, a parte i tre impossibilitati ad andarsene ("dieci dei miei giocano in club palestinesi - spiega Daboub - ma solo in sette sono riusciti a fuggire"), sono dal 22 ottobre scorso in Giordania, dove hanno svolto gli allenamenti in vista della partita di oggi e di quella di martedì prossimo, in Kuwait (di nuovo campo neutro) contro i 'Socceroos' australiani. "Le difficoltà maggiori sono quelle psicologiche - dice ancora il ct -, come si fa a non pensare a cosa sta succedendo in Plalestina, e a familiari, amici e parenti? Anche quando siamo sul bus, tutti insieme, i miei provano a telefonare, ma io non dico loro niente: capisco la situazione". Un ex nazionale della Palestina, Said al-Kurd, ha avuto la casa completamente rasa al suolo dai bombardamenti, ed è riuscito a portare via soltanto una coppa e un 'mazzo' di medaglie, ovvero i trofei di una carriera. Per il resto non ha più nulla, e la sua immagine davanti alla macerie ha fatto il giro dei compagni. "Siamo la squadra di un popolo che vuole essere visto e udito dal resto del mondo - spiega Daboub - e che vorrebbe vivere normalmente come gli altri. Questa nostra nazionale rappresenta il desiderio di uno Stato che vorrebbe essere libero e sovrano". E allora avanti con il sogno dei Mondiali, a cui la Palestina non ha mai preso parte. Intanto si cercherà di limitare i danni contro l'Australia, anche se i giochi che contano sono quelli fuori dal campo.
(ANSA)
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