Il racconto della mental coach del lavoro con l'atleta: quanto è difficile essere un vincente
Nicoletta Romanazzi è una mental coach che lavora da anni con tanti atleti e calciatori. La mental coach. Quest'anno Nicoletta ha provato l'ebbrezza di preparare un artista per il Festival di Sanremo. Il percorso con Fedez è stato un tassello nuovo da inserire nella sua già variegata esperienza di mental coach. Ai microfoni di Chi è tornata a parlare del lavoro svolto su e con Marcell Jacobs: «Lui è arrivato da me nove mesi prima delle Olimpiadi, portato dal suo procuratore e dal suo allenatore, perché si rendevano conto che aveva un potenziale pazzesco. Faceva dei gran tempi quando era in allenamento, però poi arrivava alle gare e andava in tilt. Si è affidato a me? Mica tanto. Lui non era per niente convinto, quando mi chiamò il suo procuratore, mi disse: “Guarda io te lo porto, però sappi che io ho già altri appuntamenti con altri mental coach perché dobbiamo trovare qualcuno che... lo agganci”. Marcell agli altri appuntamenti non è più andato. E abbiamo cominciato a lavorare insieme. La più grande paura di tutti noi è la paura della separazione, di non appartenere alle persone importanti. Si comincia dalla paura di non essere amati dai nostri genitori. E, andando avanti, si teme di non essere amati dai compagni di scuola, dal gruppo di pari, dai colleghi... E qui arriva lui. Lui, “il critico interiore”, che è il guardiano delle regole dei nostri sé primari, ossia di quelle parti di personalità che da piccoli scegliamo di mettere al governo: ci garantiscono l’amore e l’accettazione – e quindi la sopravvivenza – da parte delle persone importanti per noi. Solo che il nostro critico interiore pensa che siamo nati fallati, e che se il mondo scoprisse come siamo veramente, se ne andrebbero tutti; non fa altro che farci notare tutto quello che non facciamo bene. E ci mette costantemente a paragone con gli altri».
«I vincenti attraversano inferni, altro che cadute. Ma l’errore può essere il nostro più grande alleato, se ci permette di capire dove mettere le mani per migliorare. Non è che Marcell non avesse il suo bel critico interiore, anzi. Mi ha chiamata prima della finale olimpica e mi ha detto: “Non corro. Ho già parlato con l’allenatore, io non corro”. E non avrebbe corso. Gli ho detto: “Ok, va bene”. Io ero a Roma, al telefono, e gli ho detto: “Facciamo una bella cosa: tu intanto sdraiati che ti faccio respirare”. E mentre lui respirava, l’ho portato... Perché era successo proprio questo con la pagina da lei citata, lui la mattina della finale, mi manda la foto della Gazzetta, sì quella prima pagina con il titolo: “L’uomo dei sogni”. E mi scrive: “Guardami, che figata”. Io aspetto un secondo e mi manda gli emoticon della paura. Bene, ma non benissimo? Già. Lì mi diceva senza dirlo: “Sto morendo di paura?”. Aveva portato tutta l’attenzione all’esterno, tutti si aspettavano qualcosa da lui, aveva gli occhi di tutto il mondo puntati addosso, quindi, internamente, era partita la battaglia, cioè il suo critico interiore era perfettamente terrorizzato. E Marcell mi ripeteva: “Tanto sono arrivato in finale, sono il primo italiano della storia, va bene così”, quindi il meccanismo del critico interiore ti porta a rinunciare. Quello che ho fatto con Jacobs è stato proprio quello di riportare la sua attenzione dall’esterno all’interno, ricordarsi quello che era il suo grande sogno: “Ma tu sei sicuro che per quel sogno che hai da quando eri bambino, quello di metterti quella medaglia al collo, vuoi aspettare altri tre anni per raggiungerlo? Perché è lì, è lì, manca un’ora. Puoi andartelo a prendere”. E poi l’ho riportato in contatto con tutti i suoi punti di forza, aveva bisogno di ricordare che cosa era in grado di fare. Marcell si è tirato su dopo 20 minuti dicendo: “Ci sono, Nico, ci sono”. E dopo la vittoria? La gestione del successo non è semplice. Se pensiamo a Olly dopo Sanremo. Sarà l’argomento del mio prossimo libro. Sanremo? No (ride, ndr). Il successo. Che può essere una trappola, se non si ha quello che io chiamo lo scopo superiore», ha concluso Nicoletta ai microfoni della rivista Chi.