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Getty Images
Vincenzo Nibali, uno dei ciclisti italiani più vincenti di sempre, si è raccontato nel corso di un'intervista concessa al Corriere della Sera: "Leggendo della sparatoria di Monreale, dei tre giovani uccisi da un diciannovenne armato, ho pensato a quant’è stretto il bivio tra le direzioni che puoi prendere. Messina non era una città mafiosa o particolarmente violenta ma avevo compagni che venivano a scuola con la pistola nello zaino".
Niente mafia.
"Cose grosse non ce n'erano. Le immagini di Capaci mi sono rimaste dentro per anni e passando accanto alla voragine sull’autostrada ho tremato. Ma il pizzo sì, c’era".
Esperienza diretta?
"La cartoleria dei miei genitori. I pizzini che ti invitavano a pagare, la bottiglia di benzina fatta brillare dietro la serranda, la casa messa a soqquadro come avvertimento".
Come se ne esce?
"Testa alta, schiena dritta".
Cosa le hanno detto i suoi quand’è partito?
"Vai in casa d’altri, comportati come si deve. Se ti impongono scelte sbagliate torna e troverai sempre noi e un lavoro. Una frase decisiva".
A che scelte si riferivano?
"Al doping, se ne parlava tanto in quegli anni. Quella frase mi ha aiutato a capire il percorso giusto: in quel momento il ragazzino dannificu è svanito".
Nel 2012 lei arriva secondo alla Liegi, battuto da un carneade kazako (Maksim Iglinskij) che poco dopo venne trovato dopato.
"Non mi sono mai posto la domanda di quanto ho perso per colpa del doping, probabilmente tanto. Alla Vuelta me la giocai con tale spagnolo Mosquera, poi radiato. E se avesse vinto lui e non l’avessero scoperto?".
Lei ha avuto capitani, gregari, compagni che si sono dopati.
"Andavano alle corse come si andava in guerra, era un fatto culturale per quella generazione. Detto questo, se non volevi non ti dopavi: la generazione successiva ha cambiato il modo di pensare e se adesso c’è un ciclismo pulito credo sia anche merito nostro".
Eppure i sospetti c’erano.
"Vincevo, ero italiano e il boss della mia squadra, Vinokourov, aveva un passato ambiguo come altri manager. Sono stato pedinato, mi hanno aperto la macchina e controllato il telefono e sono sicuro che mi siano entrati anche in casa per trovare prove che non esistevano. I ciclisti erano bersagli facili. Mai nella vita mi sono dopato e soprattutto mai ho pensato di farlo. Mi hanno controllato un milione di volte, possono testare le provette tra cent’anni. A testa alta, sempre".
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