Intervistato dal Corriere della Sera, l'attaccante della Fiorentina Moise Kean ha parlato del figlio e anche della musica:
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Kean: “Il razzismo è dappertutto. Mio figlio Marley mi ha cambiato. Leao grande amico”
È andato via di casa a 13 anni.
«E sono dovuto andare in convitto. Mamma non voleva mandarmi perché fuori casa facevo i danni. Lasciarmi andare per lei era difficile. Alla fine, l’ho convinta e adesso è fiera di avermi ascoltata».
Lei ha avuto allenatori di grande livello, da Allegri a Mancini, sino a Spalletti. Chi è quello che le ha lasciato di più?
«Tuchel al Paris Saint Germain. Quando si è fatto male Icardi, ha chiesto di me e ero scioccato all’idea di andare in una squadra con così tanti campioni. Tuchel mi ha fatto subito debuttare e all’intervallo, dopo un primo tempo così e così, è venuto da me per incoraggiarmi. Alla seconda partita, la prima al Parco dei Principi, l’ho ripagato con una doppietta. Lui mi ha dato sempre fiducia e mi ha insegnato a amare una grande città come Parigi. E tutto in poco tempo perché dopo Natale è arrivato Pochettino».
La fiducia di un allenatore è molto importante…
«È di più, è tutto. La cosa più bella del calcio. La stessa fiducia che mi sta dando adesso Palladino».
A Parigi ha giocato con i più forti, Mbappé, Neymar…
«Kylian e Ney sono bravissimi ragazzi. Ma il più forte è Cristiano Ronaldo. Mi ha insegnato a migliorare sui dettagli».
Il razzismo come lo vive? È stata dura?
«Il razzismo è dappertutto, in Italia e anche all’estero. Ho subito tante ingiustizie, soprattutto da piccolo».
Crede in Dio, la fede l’ha aiutata?
«Tanto, tanto. Quando ero piccolo mia mamma mi portava in chiesa, anche quando non volevo. Ora la ringrazio. E da quando sono alla Fiorentina, la fede l’ho messa ancora più in pratica».
Perché adesso di più?
«Perché ho deciso di cambiare molte cose. Ho smesso con un certo tipo di vita per sentirmi più libero mentalmente. Perché se trovi Dio trovi pace. Ed è quello di cui avevo bisogno».
C’entra la nascita di suo figlio Marley?
«Mi ha cambiato tanto. Lo adoro, penso sempre a lui, torno a casa, lo abbraccio e lo coccolo. Mi sento responsabile di un’altra persona. Mio padre non c’è stato per me e non voglio fare gli stessi errori. Non deve vivere quello che ho vissuto io».
Ha inciso un disco, Chosen. Quando è cominciata la passione per la musica?
«È cresciuta insieme al calcio. A volte giocavo a pallone, altre mi concentravo sulle sfide di rap. Questo disco è un messaggio: vuol dire che devi inseguire le tue passioni. Se hai talento devi farlo vedere e dimostrare che nella vita puoi farcela, e puoi fare anche due lavori».
È la musica che l’ha fatta diventare amico con Leao?
«No, il calcio. Ci siamo conosciuti nelle Nazionali giovanili, spesso eravamo nello stesso albergo e tra noi è scattato subito il feeling. Leao e McKennie sono i miei amici più cari in questo ambiente. Con Rafa ho dei progetti musicali a cui stiamo lavorando. McKennie invece tira fuori il bambino che è in me: ridiamo tantissimo, anche di cose stupide. Altrimenti la vita diventa triste».
Il balletto dopo ogni gol?
«Il Groddy. Quest’anno lo faccio di più, ma lo facevo già a Torino. Festeggio così perché il gol è gioia e liberazione».
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