Che cosa aveva cambiato nel testamento?
«Da poco era nata una bimba, figlia di mia nipote, e lei se n’era innamorata. Sofia Nicla, detta Pupazza. Nei suoi ultimi giorni, le uniche chat che Anna guardava erano quelle con le foto di Pupazza. Le ha lasciato la casa al mare, amatissima, di Porto Santo Stefano. Il testamento, invece, lo aveva fatto dopo aver saputo della malattia, lasciando il ricavato della vendita dei suoi gioielli alla Fondazione Veronesi e alla Fil, la Fondazione italiana linfomi».
L’ha conosciuta quando era la star di tante fiction, mentre lei viveva nella più riservata alta finanza. Non erano distanti quei mondi?
«L’ho seguita sui set, in Umbria, in Tunisia, ovunque, mi divertiva conoscere quell’ambiente. E ho scoperto di avere un sacco di amici, banchieri e affini che la guardavano in Vento di Ponente. Stare sempre insieme in entrambi i mondi era naturale. E la prima volta che mi ha accompagnato a una cena, organizzata da Generali a Firenze, siamo entrati, c’erano tutti i personaggi della finanza italiana, ma i fotografi erano tutti per lei».
Al Corriere, Anna raccontò che, quando uscì il suo primo romanzo, sull’ultimo scandaloso amore di George Sand, andava in onda «La terza verità», otto milioni di ascolti, ma l’emozione di vedere stampato il suo libro fu tale che chiamò il suo agente e gli disse di non mandarle più copioni. Ricorda quel momento? Le aveva chiesto consigli?
«Consigli no. Disse: mi do alla scrittura perché è la cosa giusta per me e mi dà di più. Chiamava i suoi libri: i miei bimbi di carta, erano qualcosa che partoriva lei, non c’era regista, sceneggiatore… L’ultimo, Non giudicarmi, sul barone Jacques d’Adelswärd-Fersen e la fatica esistenziale di essere omosessuale negli anni ’20, l’ha portata a battersi tanto per i diritti civili. È stato il suo ultimo atto di altruismo».
Nel suo ultimo giorno, siete riusciti a salutarvi?
«Ero lì con lei. Lei non voleva che stessi lì. Mi ha detto: vai via. Ma non me ne sono andato».
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