Anna Kanakis se ne andava un anno fa, il 20 novembre, a soli 61 anni, vinta da un linfoma di cui non aveva mai parlato pubblicamente, nonostante una vita vissuta sotto i riflettori, fra cinema, tv, libri. Marco Merati Foscarini, il marito vedovo dell'ex attrice, ha parlato al Corriere della Sera:
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Anna Kanakis, il marito: “Coraggiosa fino alla fine. I suoi gioielli per finanziare la ricerca”
Quel 20 novembre, lei era preparato?
«In parte, perché me l’avevano detto. Però la speranza nel miracolo ce l’hai sempre. Anna aveva scoperto di avere un linfoma nel 2018, facendo un esame del sangue di routine. Dopo, per due volte, la malattia era andata in remissione. Abbiamo fatto viaggi, vacanze, aveva scritto il suo ultimo libro. Era stata bene».
Come reagì alla diagnosi?
«Con grande coraggio. E preoccupandosi soprattutto degli altri. Al pronto soccorso Ematologico del Policlinico Umberto I di Roma, ci sono tre targhe che la ricordano. È una struttura geniale riservata ai pazienti con malattie del sangue, ma è pubblica, ha poche risorse e Anna ha rifatto tutto il reparto, dove fra l’altro è mancata. Quella sera, ha chiesto lei di andare. Ha chiamato il professor Maurizio Martelli che ci è sempre stato vicino con professionalità e cuore e gli ha chiesto di ricoverarla».
Come aveva vissuto quegli ultimi mesi sapendo che non c’era più nulla da fare?
«Non lo sapeva. A ogni visita, chiedeva che probabilità avesse e andava avanti. Però, dieci giorni prima di morire, aveva cambiato il testamento. Forse, aveva capito, ma non lo diceva, per proteggere me. E aveva detto al professore: se ha altre cose che posso fare per il reparto, me lo dica».
Che cosa aveva cambiato nel testamento?
«Da poco era nata una bimba, figlia di mia nipote, e lei se n’era innamorata. Sofia Nicla, detta Pupazza. Nei suoi ultimi giorni, le uniche chat che Anna guardava erano quelle con le foto di Pupazza. Le ha lasciato la casa al mare, amatissima, di Porto Santo Stefano. Il testamento, invece, lo aveva fatto dopo aver saputo della malattia, lasciando il ricavato della vendita dei suoi gioielli alla Fondazione Veronesi e alla Fil, la Fondazione italiana linfomi».
L’ha conosciuta quando era la star di tante fiction, mentre lei viveva nella più riservata alta finanza. Non erano distanti quei mondi?
«L’ho seguita sui set, in Umbria, in Tunisia, ovunque, mi divertiva conoscere quell’ambiente. E ho scoperto di avere un sacco di amici, banchieri e affini che la guardavano in Vento di Ponente. Stare sempre insieme in entrambi i mondi era naturale. E la prima volta che mi ha accompagnato a una cena, organizzata da Generali a Firenze, siamo entrati, c’erano tutti i personaggi della finanza italiana, ma i fotografi erano tutti per lei».
Al Corriere, Anna raccontò che, quando uscì il suo primo romanzo, sull’ultimo scandaloso amore di George Sand, andava in onda «La terza verità», otto milioni di ascolti, ma l’emozione di vedere stampato il suo libro fu tale che chiamò il suo agente e gli disse di non mandarle più copioni. Ricorda quel momento? Le aveva chiesto consigli?
«Consigli no. Disse: mi do alla scrittura perché è la cosa giusta per me e mi dà di più. Chiamava i suoi libri: i miei bimbi di carta, erano qualcosa che partoriva lei, non c’era regista, sceneggiatore… L’ultimo, Non giudicarmi, sul barone Jacques d’Adelswärd-Fersen e la fatica esistenziale di essere omosessuale negli anni ’20, l’ha portata a battersi tanto per i diritti civili. È stato il suo ultimo atto di altruismo».
Nel suo ultimo giorno, siete riusciti a salutarvi?
«Ero lì con lei. Lei non voleva che stessi lì. Mi ha detto: vai via. Ma non me ne sono andato».
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