Emanuela Perinetti, figlia di uno dei dirigenti più stimati nel mondo del calcio in Italia, soffriva di anoressia. Il padre Giorgio ha una storia da direttore sportivo (o generale) di Roma e Napoli, Juventus (dove coordinò il settore giovanile) e Palermo, Siena, Bari e Venezia, Genoa, Brescia e infine Avellino. Emanuela era giovane (34 anni) ma si era già fatta conoscere per le sue competenze di marketing, web e social. Il padre Giorgio ha ricordato la figlia e il calvario della sua malattia, l'anoressia.
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Giorgio Perinetti ricorda la figlia: “Impossibile rassegnarsi. Vicinanza? La moglie di Conte…”
Ripensando a quei momenti terribili dello scorso anno, qual è il ricordo più forte e chiaro che ha di Emanuela?
«La degenza in ospedale alla fine della sua giovane esistenza, quell’iniziale ostracismo al ricovero, il progressivo abbandono fino all’evidenza, alla tenerezza che infondeva quel suo corpicino sempre più esile».
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Riesce a darsi pace per quanto accaduto?
«Per un genitore è impossibile rassegnarsi ad una perdita talmente angosciante, dolorosa. Sei portato a credere che un figlio continui ad essere dentro di te, che respiri attraverso il tuo respiro».
Come lei, Emanuela viveva di calcio. Si occupava di marketing. Era una donna in carriera, brillante, già affermata. Si è chiesto perché sia finita così?
«Me lo continuo a chiedere ogni giorno, ogni minuto di quel che mi resta da vivere. Ma non trovo mai una spiegazione. Rimane incomprensibile come una ragazza con la sua energia e i suoi valori sia stata sopraffatta da quelle ombre interiori che le hanno creato un disagio tanto devastante quanto irreparabile».
Da quanto tempo Emanuela soffriva di anoressia?
«Probabilmente da più di un anno. Ma è tipico di questo disturbo negarne l’evidenza, raccontare bugie per continuare a nasconderlo. Abbiamo capito tutto troppo tardi».
Discutevate insieme della malattia che aveva? Da quando ha cominciato a temere per la salute di sua figlia e cos’ha fatto per provare a salvarla?
«Nell’attimo in cui ho smascherato le sue bugie e compreso in pieno il problema, le ho parlato con sincerità ma pure con decisione. È servito a poco. Non sono riuscito neppure con l’aiuto dei medici ad ottenere il suo consenso al ricovero, avvenuto poi soltanto dopo un malore e uno svenimento in casa».
Da Palermo a Roma e Milano, continua a ricevere premi che dovevano essere consegnati a Emanuela, oltre che a partecipare ad iniziative in nome di sua figlia. Che effetto fa? Quale sensazione prova?
«Emanuela era considerata una delle migliori influencer italiane nel marketing. I premi che le attribuiscono sono un riconoscimento alle sue doti. Però ricordarla serve soprattutto ad affrontare la battaglia ai disturbi alimentari, così diffusi tra i giovani».
Anche Bari, dov’è tornato la settimana scorsa, le ha tributato una montagna di affetto. Queste dimostrazioni la consolano o amplificano il suo strazio per una figlia perduta?
«Varie tifoserie hanno commemorato Emanuela. Sono situazioni per me difficili da metabolizzare. Ma, in egual modo, è come se attraverso quei ripetuti attestati di attenzione l’avessi di nuovo vicina a me in tribuna, a gustarsi lo spettacolo che tanto amava: una partita di calcio».
Nel suo ambiente, chi è stato più vicino a lei e ad Emanuela?
«La persona che si è mostrata più sensibile, cercando di aiutare Emanuela ma più in generale la mia famiglia anche dopo la scomparsa di mia moglie, è stata Elisabetta Conte. Sì, la moglie di Antonio, l’attuale allenatore del Napoli. Le sono e le sarò sempre, infinitamente, grato».
(Corriere della Sera)
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