A cosa si è aggrappata, quando il buio era più fitto?
"Alla positività che ho sempre insegnato: non potevo tradire me stessa sul più bello. Ho usato la mindfulness, la respirazione consapevole. Mi sono parlata molto, rassicurandomi sul fatto che avrei trovato la forza che alleno da una vita. Evert e Navratilova, impegnate in percorsi di malattia simili al mio, non le ho contattate, no. Ho guardato in loop le immagini delle mie ragazze in campo: Supertennis mi ha mandato un file video che ho consumato. L’importante è volersi bene, non perdere mai la speranza. C’è una nuvola? Okay però dietro c’è sempre il sole, basta che quella nuvola si sposti".
Non ha mai pensato di tenere per sé la malattia? Perché la scelta di condivisione?
"Ci ho pensato tanto, la malattia spesso viene vissuta con vergogna e a Siviglia, in Billie Jean King Cup, era giusto che tutta la luce l’avessero le ragazze. Finito il torneo, mi sono convinta di poter dare un contributo alle persone in difficoltà: ho visto tanta sofferenza, e qualcuno che non ha reagito e non ce l’ha fatta. Ho iniziato a scrivere per aiutare me, per osservare da fuori cosa mi stava accadendo. Rileggermi, anche oggi, mi serve. Mi hanno scritto in tantissimi. Comunicare la malattia significa anche farsi aiutare: tendere la mano è un grande atto di coraggio".
Era così spavalda anche in campo?
"Forse anche troppo! Ho sempre amato la competizione, sono stata la prima tennista italiana a battere una numero uno (Henin al Roland Garros nel 2004, ndr), quel giorno mi sono sentita Roger Bannister dopo lo storico record sul miglio!".
Pochi giorni e siamo nel 2024, Tathiana. Cosa vede?
"Un ultimo esame istologico che mi permette di avere pensieri positivi e sensazioni buone. Nella visita del 15 gennaio l’oncologo mi dirà se le cure chemioterapiche sono state sufficienti: sembrerebbe di sì. È partito tutto dall’appendice senza alcuna familiarità tra i parenti anche se è vero che i miei fratelli l’appendice l’hanno tolta, quindi non abbiamo la controprova".
Tornare sulla panchina della Nazionale, che la Federtennis le conserva con affetto, è il primo obiettivo?
"Vorrei riprendermi la mia vita, quello che ho sempre amato, ciò che ho sempre voluto fare. Ho la fortuna che il mio lavoro sia la mia passione. Mi sveglio ogni mattina più motivata che mai".
Si sente cambiata dalla malattia?
"Sì, profondamente. Ma non per forza in peggio. Ho toccato con mano la mia forza: non immaginavo di contenerne in quantità da poterne dare agli altri. Sono ben più resiliente di quanto non pensassi. Sento di voler regalare le mie esperienze, voglio mettermi al servizio. Spesso nella vita ci si perde in solenni cavolate: beh, non sarà più così. Quando dai troppa importanza alle cose futili, rischi di perdere la via. Questa avventura mi ha insegnato che se cadi è perché per terra c’è qualcosa che va raccolto".
Cosa ha raccolto, Tathiana?
"La vita, il bene più prezioso. Oggi non mi sfugge più: ho imparato che ogni giorno va assaporato come se fosse l’ultimo. Non ho paura di morire, davvero: ho avuto un’esistenza ricchissima, di cui non cambierei un istante. Mi sono conosciuta meglio attraverso lo sport che amo".
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