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Buffon: “Per l’Europeo sposto il matrimonio con Ilaria. Scommesse? Infangato senza motivo”

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L'ex portiere di Juventus, Parma e Nazionale racconta alcuni aspetti della sua vita dopo il ritiro dal calcio giocato
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Gianluigi Buffon, ex portiere di Parma, Juventus e Nazionale e attuale capo delegazione dell'Italia, ha raccontato alcuni aspetti della sua vita dopo il ritiro dal calcio giocato nel corso di un'intervista concessa al Corriere della Sera: "Il pallone è lo strumento migliore per socializzare. Sono cresciuto a Marina di Carrara e quando avevo 6 anni ci siamo trasferiti in una zona dove c’erano una decina di ragazzi con cui spesso ci ritrovavamo in strada e giocavamo a biglie o a calcio. Con i platani a fare da porte. Giocavamo e ci prendevamo in giro a seconda dei risultati delle squadre del cuore, c’erano interisti, milanisti, juventini...".

La sua prima volta su un campo da calcio vero?

"Avevo 6 anni, giocavo in una società di Spezia, il Canaletto, perché mio padre allenava la prima squadra. Giocai lì per 2-3 anni, da centrocampista o libero. L’emozione di quando mi diedero il sacco con la tuta fu incredibile. Passavo giornate intere a sfogliare gli album delle figurine, studiavo la storia dei giocatori, delle squadre… l’idea di avere anche io una divisa e un borsone, di far parte di un gruppo, mi emozionava: ero orgoglioso come se la maglia che indossavo fosse stata quella del Real Madrid. Poi mio padre andò via e mi spostai alla Perticata, a Carrara, che era affiliata all’Inter. Mi divertivo tanto e avevo buoni risultati, facevo parte della rappresentativa provinciale e regionale".

Suo padre l’ha sempre seguita: che rapporto avete?

"Lasciatemi una menzione alla mamma, unica e irripetibile. Mio padre è friulano, quindi con un modo di dimostrare affetto e sentimenti un po’ freddo, ma è sempre bastato uno sguardo o una frase per farmi capire quello che gli faceva piacere e quello che non apprezzava. Quando ho iniziato a giocare a Parma ha smesso di allenare. Era in Promozione, poteva ambire a serie superiori, ma voleva starmi vicino. La sua era una presenza costante ma discreta. Alle partite lo notavi perché era quello da solo, in disparte. E io, che caratterialmente sono diverso, faccio la stessa cosa: quando guardo giocare i miei figli resto in un angolo da solo".

Che attività fanno?

"Luis, il più grande, ora gioca a calcio nel Pisa. È in convitto e sono felice che faccia questa esperienza: io sono andato via di casa a 13 anni, per me è stata un’occasione formativa unica. David invece al CBS, una squadra di Torino affiliata al Milan. Mentre Leopoldo sta facendo sport: gioca a basket, ogni tanto prova il calcio, ma se volesse fare anche tennis, pallanuoto o pallavolo lo porteremmo a fare anche quello".

Quanto è importante fare sport per un ragazzo?

"È fondamentale per socializzare, per imparare a competere prendendo atto che qualcuno può essere più forte di te. E, se lo fai con la serietà giusta, ti tiene lontano da strade pericolose. Mi sono accorto che le persone che hanno fatto sport accettano anche le “sconfitte”, non hanno paura di misurarsi con gli altri".

Oggi è capo delegazione della Nazionale italiana, il ruolo che fu di Vialli durante l’ultimo Europeo.

"Un ruolo di cui sono orgoglioso. Sarei un folle a pensare di poter trasmettere qualcosa come è riuscito a Gianluca. Cerco almeno di non farlo rimpiangere troppo, senza però scimmiottarlo. Faccio Gigi Buffon con i miei pregi e difetti, le mie profondità e superficialità".

Pensa mai a reinfilare i guantoni e tornare in porta?

"No, sono veramente felice di aver smesso. Mi sto dedicando ai tanti interessi ai quali ho dovuto rinunciare per questa vita da calciatore così totalizzante".

A cosa si dedica oggi Gigi Buffon?

"Ho fatto il corso da direttore sportivo. A gennaio inizio un corso intensivo alla Bocconi in business administration e, finalmente, mi butto in una full immersion di inglese per poter dimenticare il livello scolastico che mi ha sempre tenuto in piedi ma con disagio...".

Era con Tonali e Zaniolo, quando le forze dell’ordine sono arrivate a Coverciano. Perché due campioni hanno ceduto alla tentazione delle scommesse?

"È un tema molto delicato. Credo sia sbagliato criminalizzare e non fare dei distinguo. Scommettere di per sé non è reato, gli stadi stessi e le trasmissioni sportive sono pieni di pubblicità di App di questo genere e lo Stato incentiva il gioco. Se invece un calciatore scommette sul calcio va incontro a punizioni che giustamente devono essere inflitte; ma se scommette sulla pallavolo, sul basket, sulle corse dei cani…non sta commettendo alcun reato. E la cosa peggiora quando si parla di ludopatia, anche qui non centrando l’obiettivo: la ludopatia non è un problema di quanto spendi, ma del tempo che dedichi a questa attività. E questo dobbiamo spiegarlo ai ragazzi: non è che se si fanno continue scommesse da 1 euro trascorrendo ore e ore davanti alla App, allora è un tutto ok; mentre se uno spende 1 milione in un’unica occasione allora è ludopatico. Possiamo dire che è un cretino, va bene; ma la patologia nasce dalla dipendenza, la continuità con cui si fa una cosa. Non mi piacciono i bacchettoni che giudicano con una superficialità aberrante senza sapere poi realmente quali siano le motivazioni. Ci sono passato anche io venendo infangato senza aver commesso nulla: quando le cose si chiariscono, ci si dimentica di spiegare e chiedere scusa e si lasciano le persone con un’etichetta addosso. Lo trovo profondamente sbagliato".

Con Ilaria D’Amico state programmando le nozze?

"Sono 10 anni che stiamo insieme, siamo molto sereni e felici. Questa è la cosa più importante. Volevamo sposarci nel giugno 2024, ma per via dell’Europeo o slitta o anticipiamo, non abbiamo ancora deciso".

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