In una lunga intervista al Corriere della Sera, Stefano Bettarini si racconta. L'ex giocatore parte dai suoi inizi: "A 16 anni feci il provino con Capello al Milan e Giampiero Marini all’Inter. Mi presero entrambi, a quel punto dovevo decidere. I nerazzurri alloggiavano in una villa vicino a Porta Genova, poche fermate di tram e arrivavi al Duomo. I rossoneri erano chiusi a Milanello, il che mi avrebbe obbligato a fare solo scuola-campo. Guardai mio padre. “Ma devo fare questa vita?”. La scelta mi sembrò ovvia".
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Bettarini: “Simona Ventura mi tradiva. È abituata a cantarsela e suonarsela. I social…”
E papà? «Era stato una promessa della Roma, poi venne bocciato due volte al Classico e mio nonno, un paio di lauree alle spalle, lo obbligò a smettere. Quando venne a sapere che, arrivato a Milano, a scuola ci andavo poco, andò a parlare con Marini, che fu schietto. “Suo figlio ha talento e diventerà un calciatore, ma deve pensare solo al pallone e non ai libri”. Lo accettò a fatica. Dopo il mio esordio in serie A, mi guardò e mi disse. “Il difficile non è arrivare a certi livelli, ma saperci restare»".
La notorietà non le manca?
—«Ho giocato 17 anni, altrettanti li ho passati nel mondo dello spettacolo. Difficile che le persone mi dimentichino. Può non riconoscermi un bambino di 13 anni, ma in quei casi interviene subito il padre. “Lo sai chi è lui?”. Vivrei bene anche se le persone non mi fermassero per strada, ma questo purtroppo non avviene».
Anche su Instagram è fermo da oltre un anno.
—«I social sono finzione, vengono usati per mostrarsi in un modo che non corrisponde alla realtà. Ho voluto ritrovare me stesso, avevo bisogno di ripulirmi e di non farmi più sfruttare da una televisione che ho smesso di riconoscere».
Come ha conosciuto Simona Ventura?
—«Ero in vacanza in Sardegna. Scendo dalla moto d’acqua, mi tolgo il giubbotto di salvataggio. Lei si gira verso Domenico Zambelli, il suo assistente. “Ah, però!”, esclama. La sera mi invita a cena a un evento, con me anche i 12 amici con cui ero partito. La madre non la prende bene. “Perché hai chiamato tutte queste persone?”. Poi mi vede e si gira verso la figlia. “Ok, ora ho capito”».
Tutto la Ventura ha fatto insomma.
—«Sì, proprio tutto. Compresa la separazione. È abituata a cantarsela e suonarsela».
Ma anche lei ci ha messo del suo.
—«Non sono mai stato uno stinco di santo, ma davanti a una separazione le responsabilità sono sempre 50 e 50. Quando giocavo in altre città, ero sempre io a correre a casa dopo una partita per stare con moglie e figli. Avrei avuto bisogno della sua presenza, certe mancanze le ho accusate. Se preferisci la carriera alla famiglia, prima o poi la paghi».
È stato accusato di averla tradita più volte però.
—«Mi hanno fatto passare come un donnaiolo perché era la soluzione più comoda, ero io quello mediaticamente più debole. Poi è venuto fuori che in realtà la separazione è avvenuta in seguito a un suo tradimento. Ingaggiai un investigatore privato, tenni la cosa nascosta per un po’ ma poi sbottai. Se avessi aspettato, avrei scoperto molto altro. La chiamai, dopo due secondi avevo il suo avvocato in casa».
(Corriere della Sera)
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