Quando torna a casa riesce a fare vita di paese o è più complicato?
"Non sono cambiato e quando posso vado: anche a vedere le partite di calcetto fra le nostre sette contrade, che a gennaio si sfidano per il Palio. Sono molto legato a Buti, ho tantissimi amici: dai 15 ai 70 anni".
Lei quando l’Italia ha vinto l’Europeo cosa ha fatto?
"Sono stato in piazza, coi miei amici che festeggiavano".
In cosa si sente più albanese?
"Il mio sangue è albanese, in casa ogni tanto parlo la lingua. E con i nonni in Albania mantengo vivo le radici".
A Elbasan dove è nato ci va mai?
"Sì, se con la Nazionale sono a Tirana e ho il pomeriggio libero vado a trovare i nonni".
I suoi genitori le raccontano della loro vita in Albania e dell’arrivo in Italia?
"Sempre. Mio padre è arrivato in Italia con il gommone e mi racconta quanto fosse dura la vita in Albania. Mia madre mi ha avuto a 18 anni e non è stato facile. Hanno sofferto tanto e quello che hanno fatto per me e mio fratello Leonardo che ha 13 anni non ha prezzo: sento di non poterli ripagare, ma ci provo".
Come?
"Quando ho firmato per l’Inter ho portato tutti con me a Milano, anche perché parlano tutti bene della città, ma a 21 anni viverci da solo sarebbe stato un casino. Mia mamma lavorava in una fabbrica di dolci, mio padre per l’azienda degli acquedotti e d’estate stava tutto il giorno al sole: adesso la vita è cambiata".
Si è occupato molto di suo fratello?
"Sì, soprattutto in estate. Stavamo assieme tutto il giorno, perché i nostri genitori lavoravano. Lo portavo al campo con me, lo mettevo seduto e mi allenavo. Adesso gioca anche lui, come esterno: è un po’ più pazzo di me".
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