LEGGI ANCHE
Che padre è stato Sinisa?
«Cambiava i pannolini, faceva il bagnetto, ma dava regole. Quindi non si sgarrava. Per loro perderlo è stato veramente duro. Ma sono la mia forza. A Sinisa gliel’ho promesso. “Ora vai — gli ho detto stringendogli la mano — ai ragazzi ci penso io”. Solo allora se ne è andato… È stato il momento più terribile e intenso che abbia mai provato. Eravamo intorno a lui, io, i figli, il suo migliore amico, mia madre, sua madre. Dopo l’ultimo respiro, c’era una forza in quella stanza che non saprei descrivere.
Abbiamo pianto le lacrime che non avevamo potuto versare prima, per non fargli capire che era finita».
Non gli ha detto la verità?
«No, volevano così anche i miei ragazzi. Sinisa aveva troppo bisogno di pensare che avrebbe avuto un domani».
Che carattere aveva?
«Era perbene, schietto, buono. Non un tipo ridanciano. Non mi diceva mai: “Ti amo”. Ma tra noi era così, l’amore me lo dimostrava coi fatti. E io uguale. Negli ultimi tempi avreivoluto dirgli che lo amavo in ogni momento, ma temevo potesse capire che la situazione stava precipitando. Uno degli ultimi giorni, però, ce lo siamo detti con uno stratagemma. Lui era in clinica, era venuto l’oncologo Marchetti a visitarlo. “Grazie Paolo, ti voglio bene”, gli ha detto mentre il medico andava via. Ho preso la palla al balzo: “E a me?”. “A te ti amo, è diverso”. “Anche io”, gli ho risposto. E non vedevo l’ora».
© RIPRODUZIONE RISERVATA