Lucio Corsi, il cantastorie toscano arrivato secondo a Sanremo con Volevo essere un duro, si racconta dalla sua casa in Maremma a Vanity Fair
"No, non sono innamorato. Sto pensando solo al lavoro, ora sento il bisogno di stare libero, far quello che mi pare, non ho voglia di metter su famiglia. Non ho proprio quel desiderio, per niente. Magari accadrà, ma non lo so, è una cosa che non mi interessa tanto. Questa idea poi che ci siano le età 'giuste' e i momenti 'giusti' per fare le cose non mi ha mai convinto".
Lucio Corsi, il cantastorie toscano arrivato secondo a Sanremo con Volevo essere un duro, si racconta dalla sua casa in Maremma a Vanity Fair, nel numero in edicola dal 12 marzo, alla vigilia dell'uscita dell'album omonimo il 21 marzo e del tour che partirà da aprile. "A Milano provai l'Accademia di Brera. Con l'intento, in realtà, di riuscire a fare della musica il mio mestiere. I miei all'inizio erano scettici, ci è voluto tempo… Però, quando hanno visto che lo facevo davvero con tutto l'impegno possibile e la serietà del caso, mi hanno aiutato, dato fiducia. È una cosa rara, sono molto fortunato", spiega il cantautore 31enne, che a maggio rappresenterà l'Italia all'Eurovision Song Contest di Basilea. Sulla politica nelle canzoni, sottolinea: "Penso che nelle canzoni, come dice Nick Cave, si debba parlare coi termini dell'anima e non della politica. Sono interessato alla politica, ma nella mia vita quotidiana. Se parlassi in termini puramente politici nelle canzoni, dovrei avere un impegno quotidiano e costante in quelle battaglie. Mi sentirei davvero un impostore se lo facessi senza avere questo impegno. Del resto anche una canzone sul vento può essere una canzone politica, un messaggio può arrivare anche attraverso altre visioni".