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Luciano Moggi, radiato dal calcio e condannato nel processo di Calciopoli a Napoli, ha parlato a ruota libera in un'intervista concessa al Corriere dello Sport. Il metodo Moggi per tenere a bada le teste calde? «I giocatori mi temevano e mi rispettavano anche a mille chilometri. Si sarebbero buttati dalla finestra per me. Erano miei dipendenti ma li trattavo come amici, fino a che non mi davano motivo di cambiare. Ibra è il contrario di quello che dicono. Se ti rispetta, ti dà tutto, ti aiuta anche nello spogliatoio. Davids a Milano era considerato un demonio, con noi è stato perfetto. Come si gestiscono i talenti? Come un padre di famiglia. Dicevano che la Juve era una caserma. Falso. I calciatori andavano tutti all’”Hollywood”, a Milano, la domenica dopo la partita. “Andate pure”, dicevo, “scopate, fate quello che volete, ma non voglio scandali. E non andate se giochiamo la coppa di mercoledì. Trezeguet era l’unico che non mi dava retta. Andava all’“Hollywood” anche quando non doveva. Una sera trovò me che l’aspettavo. Da allora non c’è andato più. Mai battuto i pugni sul tavolo. Chi lo fa, non sa comandare. Io facevo la riunione il giovedì con gli allenatori. Analizzavamo la partita e poi dicevo democraticamente: Io farei così. E loro? Facevano così».
Nainggolan bad-boy? «Io l’avrei raddrizzato. Montero mi diceva che per lui il giorno era la notte. “Paolo, finché il campo mi racconta che sei uno dei migliori, non m’importa”. Quando si è sposato e tornava a casa alle 8 di sera, ha smesso di giocare. Gli ho detto un giorno: “Paolo torna a frequentare i locali, se no ti caccio”».
(Corriere dello Sport)
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