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golssip news Perinetti: “La morte di mia figlia? Devastante, non trovo risposte. Non ho recepito i segnali”

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Perinetti: “La morte di mia figlia? Devastante, non trovo risposte. Non ho recepito i segnali”

Perinetti: “La morte di mia figlia? Devastante, non trovo risposte. Non ho recepito i segnali” - immagine 1
L'esperti dirigente sportivo ha raccontato la tragedia che lo ha colpito, per la quale ha deciso di scrivere un libro
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Giorgio Perinetti, esperto dirigente sportivo con una lunga carriera alle spalle, nel corso di un'intervista concessa a La Gazzetta dello Sport ha raccontato la tragedia che ha colpito sua figlia Emanuela, portata via dall'anoressia pochi anni fa.

"Quello che non ho visto arrivare" è il libro che ha scritto su sua figlia. Si è convinto subito?

"In un primo momento, anche parlando con l’altra mia figlia, Chiara, ero restio. Poi è stato dolorosissimo rivivere tutto, ma in un certo senso mi ha dato sostegno. Spero di mettere sotto i riflettori il tema dei disturbi alimentari: dopo la scomparsa di mia figlia, il dottore che la curava mi ha raccontato di aver fatto leggere la sua storia ad un’altra paziente. E così ha accettato il ricovero. Questa è stata la mia spinta".

Oggi riesce a sopravvivere?

"Non sono stato fortunato: prima ho perso mia moglie, poi Emanuela. Una ragazza intelligente, che aveva tutto. Sopravvivere a un figlio è qualcosa di innaturale, perderla in questo modo è stato devastante. Devo ringraziare Chiara che mi ha dato forza. Siamo rimasti noi due. Ogni volta che ci incontriamo, si parte con lunghi silenzi. Momenti in cui viviamo intensamente il ricordo delle persone che abbiamo perso".

Ha smesso di sentirsi in colpa?

"No. Un genitore di colpe se ne dà mille, si fa migliaia di domande, non riesce a trovare risposte. Io mi guardo sempre indietro, quando mia figlia mi chiedeva di inventarci qualcosa insieme. Interpretavo questa richiesta come una diminutio per lei, non certo per me. E invece forse erano solo richieste di aiuto. Non l’ho capita, non ho recepito i segnali e questa è la mia più grande disperazione. Emanuela mi chiamava tutte le mattine, si preoccupava per me, mi aggiornava".

Emanuela è sempre stata interessata al calcio.

"Da bambina, con la mamma veniva a vedere la partita. Senza parlare mi guardava con gli occhi imploranti e allora le chiedevo se volesse tornare in pullman a Trigoria col papà o a casa con la mamma. Si accomodava sempre in braccio ad Aldair".

C’è qualcosa in particolare che l’ha aiutata a non pensare?

"Il calcio. Sia dopo la scomparsa di mia moglie, quando accettai Venezia un mese più tardi, sia dopo quella di mia figlia, tra Avellino e Athletic Palermo, scelto perché volevo chiudere da dove sono partito: ragazzi giovani a cui regalare un sogno. È necessario per tenere occupata la testa".