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Malika Ayane: “Marocco, che sogno. Ma non sto seguendo il Mondiale perché…”

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Le parole della cantante: "Mi sono resa conto dai commenti dei festeggiamenti, che nel Paese c'è ancora razzismo"

Marco

Intervenuta ai microfoni di Repubblica, Malika Ayane, cantante italiana di origini marocchine, ha parlato così della cavalcata del Marocco ai Mondiali: «La mia famiglia di donne è molto attiva, mia zia Sineb, milanesissima da più di 40 anni, mi ha mandato i meme. Immagino il gruppone davanti alla tv che esulta e mi aggiorna sulle partite. È bella la gioia».

Le dispiace di non poter seguire il Mondiale?

«Non lo stavo seguendo anche per la questione dei diritti umani negati, che non perde di valore rispetto a questa vittoria. Il successo del Marocco e della Croazia, il fatto che le grandi squadre stiano cadendo, fa riflettere. La storia si ribalta».

È un po' la vittoria di Davide contro Golia.

«Non porto rancore. Ho 38 anni, appartengo alla prima parte di generazione di marocchini nati a Milano. Da allora ne sono nati di bambini in Italia, e ancora non sono riusciti ad avere la cittadinanza. Appartenere a un popolo che sta vincendo e avere un riconoscimento positivo, è una bella soddisfazione per chi si è trovato ad affrontare un percorso faticosissimo».

C'è ancora il razzismo?

«Il razzismo è anche quello sottile che non percepiamo come tale».

Che vuol dire?

«Che "L'ho preso dai marocchini in spiaggia", è una frase entrata nel linguaggio comune, come "È marocchino, ma è perbene". Sento ancora genitori a scuola, che dicono: "...Poi ha un'amica straniera". Allora mi metto lì, tignosa: "Tua figlia è a casa con la sua amica che si puo chiamare in qualunque modo. Sono amiche". Ci si ferma troppo a riflettere sul fatto che essere marocchini, o di altre parti del mondo, sia in qualche modo un deficit».

E quindi per pareggiare bisogna essere fenomeni?

«Sì, essere un cantante famoso o vincere i Mondiali. Perché, diciamo la verità, il calcio fa sentire tutti rappresentati. Però l'impresa del Marocco servirà a tanti, è una botta di autostima. Mi sono resa conto dai commenti dei festeggiamenti, che nel Paese c'è ancora razzismo».

A Milano si è sentita accolta?

«Quando vai nelle scuole del centro diventi quasi attraente per le tue difficoltà. Mentre quando ero piccola, i bambini, si sa, sono cattivissimi, i peggiori erano quelli che avevano smesso di essere chiamati "terroni" due giorni prima».

La semifinale Francia-Marocco è piena di significato.

«Anche la Francia è una nazione complessa. Se vede la nazionale, è mista; noi non siamo a quel punto di multiculturalismo. La semifinale è lo specchio del Paese, pensi che casino succederà, è una sfida simbolicamente forte».

A teatro come si organizzerà?

«Non essendo in tutte le scene, spero di collegarmi dietro le quinte in costume da gatta, seduta sul baule».

Il Marocco fa sognare.

«C'è il sogno, è vero, ma stanno giocando bene. C'è un portiere che non fa passare niente, tecnicamente è un bel calcio. Speriamo che non scattino l'ansia e la paura ma che sia una bella partita, di quelle da missione impossibile».

Tanti faranno il tifo.

«Non siamo quasi più preparati a essere stupiti e abbracciati. C'è il senso dell'abbandono dell'identità, pura bellezza. Col calcio apri una porticina e le persone si ritrovano».

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