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Chiara Ferragni: “Imperfetta, ma in buona fede. Basta fake news, mi sento fragile”

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Intervistata d La Gazzetta dello Sport, l'influencer ha parlato di tutto, da Fedez alle vicende Balocco e Giochi Preziosi
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Intervistata d La Gazzetta dello Sport, l'influencer Chiara Ferragni ha parlato di tutto, da Fedez alle vicende Balocco e Giochi Preziosi

«Comunque, è mio marito. E secondo me, in certe situazioni di caos esterno, le altre cose è meglio tenerle dentro la coppia». Noi: che intende esattamente per «altre cose»? Lei: «Che la priorità è proteggere la famiglia e i figli. Poi, naturalmente, qualunque cosa io faccia, se ne parla: se la faccio con lui o se la faccio senza di lui e chiunque nel mondo può dire la sua e avere le sue opinioni, ma per me, piuttosto che dare spiegazioni, è più importante fare quello che reputo più giusto: tenere i problemi tra le mura familiari».

Che ricorda di quel 15 dicembre?

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«Che erano le otto del mattino, stavo andando su un set fotografico e né io né i miei collaboratori ci aspettavamo nulla del genere. Sono rimasta completamente scioccata. Anche perché ho saputo la notizia dalle agenzie, contemporaneamente a tutti gli italiani. Era venerdì, ho passato anche sabato e domenica chiusa in casa, con addosso la stessa tuta, a leggere i tweet su di me e dire: cosa cavolo sta succedendo?».

La tuta è quella che indossava nel famoso video di scuse del 18 dicembre, criticata perché sembrava scelta per sottolineare il suo pentimento, sebbene costasse 600 euro?

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«Ero vestita ancora così quando ho pensato che dovevo fare un video e dimostrare la buona fede mia e delle persone che lavorano con me. Da tre giorni, leggevo cose completamente false, tipo che avevo truffato i consumatori e perfino i bambini malati. Ero scossa e dopo varie prove ho postato il video e facevo del mio meglio per trattenere le lacrime perché non volevo fare la vittima. Mi sono detta: la gente si aspetta qualcosa da me. Dovevo scusarmi, perché, se c’erano stati fraintendimenti, vuol dire che qualcosa poteva essere fatto meglio. Ho detto anche che non avrei fatto mai più operazioni che mischiassero pubblicità e beneficenza. Poi ho pensato: faccio un gesto concreto. Le persone credono che mi sia arricchita cercando di imbrogliarle? Bene, il milione di euro ricevuto dalle mie società lo dono al Regina Margherita e farò ricorso al Tar contro una sanzione che ritengo ingiusta e sproporzionata, la pago e, se qualcosa avrò indietro, donerò anche quello».

Perché, a suo avviso, quel video non ha fermato l’ondata di odio e di scherno?

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«Forse non era il momento giusto, continuavano a uscire notizie contro di me. Ma si stava mettendo in gioco tutto, si andava molto oltre i giudizi sull’operazione in sé, la strumentalizzazione era completa. E, quando sei dentro una gogna mediatica, ti sembra che tutte le persone ti stiano accusando, invece, basta uscire un attimo di casa per accorgerti che non è così. Infatti, non ho mai incontrato qualcuno che mi dicesse “sei una criminale”, ma solo persone che mi dicono: “è un’ingiustizia, ne uscirai a testa alta”».

Nel video, ammette «un errore di comunicazione». Sulle attività di beneficenza, cosa intende fare?

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«Ci siamo resi conto che alcuni processi di analisi interna avrebbero potuto essere gestiti meglio. E stiamo lavorando per migliorare alcuni profili organizzativi. Ho sempre pensato che, se hai trenta milioni di follower, se fai beneficenza e ne parli, crei un effetto emulativo. Durante il Covid, io e Federico abbiamo donato 50 mila euro a testa, ma comunicandolo, il crowdfunding è risultato il più sostanzioso d’Europa raccogliendo quattro milioni e mezzo. Per questo, quando possibile, la mia ratio è stata che, nell’ambito di operazioni commerciali tra le mie società e un partner, fosse semplicemente una buona idea provare ad aggiungere una parte di beneficenza anche piccola rispetto al contratto. Ho sempre pensato che, fra niente e poco, era comunque del bene che veniva fatto».

Si indaga anche perché, dal cartiglio sul pandoro e da come lei ha promosso l’iniziativa, sembrava che acquistando il prodotto si contribuisse a fare beneficenza.

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«Nel cartiglio e nei post, però, abbiamo sempre scritto e detto che “Ferragni e Balocco sostengono l’ospedale...”, mai che una percentuale delle vendite sarebbe andata in beneficenza».

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Una cosa che ha colpito l’opinione pubblica è la sproporzione tra il suo cachet, più di un milione, e la beneficenza, 50 mila euro.

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«Parlare di cachet è improprio: la cifra è il compenso dato alle mie società per i miei diritti di immagine, per la promozione e l’intera operazione. Non si deve far confusione tra la persona fisica Chiara Ferragni, il brand e le aziende. Inoltre, senza l’operazione, la donazione non sarebbe stata fatta».

La procura dice che, nell’operato delle società, c’è stato un unico disegno criminoso tra più operazioni: Balocco, uova pasquali di Dolci Preziosi e bambola Trudi.

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«Queste operazioni rappresentavano una percentuale esigua del nostro fatturato. Non comprendo come si possa ipotizzare un disegno criminoso: se così fosse, la maggior parte del fatturato dovrebbe dipendere da queste attività. Per fortuna, se c’è un effetto positivo di questa vicenda, è che ora abbiamo un Ddl beneficenza o Ddl Ferragni col quale tutto sarà più chiaro. Se ci fosse stato prima, avremmo scritto sul cartiglio “Ferragni e Balocco sostengono il Regina Margherita con una donazione di 50 mila euro fatta da Balocco”. Nessuno avrebbe potuto dire niente e ci faceva onore comunque».

L’anno scorso avete avuto ricavi per 28 milioni di euro, un grande successo. Forse avete sottovalutato la dimensione raggiunta?

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«Sicuramente. Non eravamo strutturati abbastanza. Siamo tutti giovani, principalmente sotto i 40 anni. Il mondo in cui opero è nato con noi e noi avevamo la presunzione molto naïve di fare un lavoro che, prima, non esisteva e che ha raggiunto fatturati da media impresa. Forse non eravamo neanche mentalmente preparati. Ci piaceva che tanti ci dicessero “bravi” o “siete così smart”. Quella dell’Agcm è stata la prima bastonata, la prima volta che qualcuno ci ha detto con durezza e pubblicamente che avevamo fatto male qualcosa e che ho pensato “cavolo, eravamo in buona fede, ma evidentemente potevamo fare meglio”. Ora, sono fiera dei miei ragazzi ma so che serve un rafforzamento della struttura con persone con più esperienza di me e di quelle che sempre in buona fede mi hanno aiutato».

Parla di gogna mediatica, ma non le sembra ovvio che una persona famosa come lei finisca più di altri sotto la lente dei media?

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«Per due mesi si è parlato di me come se fossi una criminale. Quando è scoppiato il caso, gli hater non hanno attaccato Balocco perché dicevano che ci sono gli operai, ma anche per le mie società lavorano 50 famiglie. Sono abituata ad avere persone che mi supportano, ma anche hater, però cercare ogni giorno una notizia anche falsa per volere la mia disfatta è stato eccessivo da sopportare anche per me. Poi ho l’impressione che faccia più clic dare enfasi a qualche hater piuttosto che alla maggioranza silenziosa che magari la pensa in altro modo».

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Quando ha realizzato che la situazione era più grave di quanto potesse preventivare?

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«Dalla pronuncia dell’Agcm, vedendo anche come si è deciso di renderla pubblica: con un comunicato in cui c’erano anche i compensi delle società».

In questi due mesi ha avuto paura che tutto questo potesse finire per sempre?

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«Non è il primo momento in cui ho questa paura: la paura è costante. In questo lavoro temi di non piacere più. Per questo ho lavorato su me stessa. So che non posso piacere a tutti, ma a quelli che mi seguono piaccio perché sono me stessa, perché cerco di ispirare verso cose positive. Questo è il mio modo di comunicare e io senza comunicare non riuscirei a vivere: mi piacciono anche le critiche, se costruttive. Ho cambiato tanto di me, ascoltandole».

 

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