Una vita intensa e tormentata, segnata dal successo, dalla tragedia e dai demoni personali. A parlare di Paolo Calissano, l’attore genovese scomparso il 29 dicembre 2021 a 54 anni, è il fratello maggiore, Roberto Calissano, 57 anni, imprenditore. Una testimonianza intensa raccontata al Corriere della Sera. "Era il maggiore, più grande di dieci mesi e mezzo. Una classe avanti. Però faceva grado, come al militare. Nella cameretta che dividevamo da bambini, fu lui a scegliere per primo il letto, vicino alla finestra. E anche dopo, sono sempre rimasto quello “piccolo”.


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Roberto Calissano: “Ecco chi tradì mio fratello. Venne emarginato. Lo aiutò solo Costanzo”
Un ricordo incancellabile.
—«Avevamo 7 e 8 anni. I nostri genitori stavano litigando. Urlavano. Ci siamo nascosti nello sgabuzzino rivestito di moquette blu. E abbiamo pianificato di scappare di casa, ognuno con il suo piccolo fagotto».
Sfrontato.
—«Gli piaceva mostrarsi come natura l’aveva fatto. Esibiva la virilità come un trofeo. Mi apriva la porta con l’accappatoio aperto, davanti alla mia fidanzata. E rideva».

Come viveva il successo?
—«Bene, anche se veniva assalito ovunque, pure dal benzinaio. Si stupiva di come la gente si prendesse tanta confidenza, lo toccavano, gli davano del tu anche se non lo conoscevano».
Era depresso.
—«Sì, ma lo nascondeva. Non è stata una famiglia facile in cui crescere, la nostra. Non siamo mai stati supportati, specialmente lui. Ne soffriva. Con me non ne parlava, non voleva mostrare debolezza, si sentiva pur sempre il fratello maggiore».
La dipendenza.
—«Mi ero accorto che in alcune occasioni aveva reazioni sopra le righe, era aggressivo. Qualche domanda me la sono posta. Ma se gli chiedevo spiegazioni mi rispondeva: “Tu fatti i fatti tuoi”. Se avessi intuito allora quello che sarebbe successo mi sarei imposto diversamente».
Nel 2005 una donna brasiliana morì per overdose di cocaina nella sua casa di Genova. Paolo fu accusato di avergliela ceduta. Finì in carcere. Patteggiò quattro anni di reclusione scontati in una comunità di recupero per tossicodipendenti.
—«Non si è più risollevato. Non fu colpa sua, è stata una disgrazia. Mio fratello provava profonda vergogna per aver disonorato la famiglia».
Venne emarginato.
—«Il lavoro si è azzerato. Non lo cercavano più. Aveva scontato la pena, ma contro di lui è rimasta una censura morale fortissima. In America altri attori dalla vita turbolenta — Robert Downey Jr o Mel Gibson — sono stati perdonati».
Lui no.
—«Negli anni il suo nome continuava ad essere associato a quel fatto di cronaca, mentre lui anelava all’oblio. Una volta si sentì male e andò al pronto soccorso. Qualcuno dell’ospedale fece la spia ai giornali, scrissero che era fatto di cocaina, anche se non era vero. Lo invitavano in tv solo per parlare di droga».
Qualcuno lo aiutò?
—«Maurizio Costanzo gli tese una mano, gli voleva bene. Ma lui fuggiva, tormentato dai suoi demoni».
Era fragile.
—«Sì. E chi doveva aiutarlo lo ha isolato ancora di più».
Chi intende?
—«Matteo Minna, amministratore di sostegno. Glielo presentai io, vivo con questo rimorso, il senso di colpa mi devasta. Lo consideravo un terzo fratello. Invece ci ha tradito. Tra noi c’è un processo ancora in corso».
Ricadde nel vizio.
—«Mi ero illuso che fosse stata solo una fase. Invece no. Provai a dirgli di smettere, che si stava rovinando. Reagiva con rabbia. “Tu non capisci, sei il più piccolo, non conosci la vita. Lavori nell’aziendina di papà, io mi sono fatto da solo”. Quando infine smise con la cocaina la sostituì con i tranquillanti. Sono stati quelli a ucciderlo, non la droga».
Per un certo periodo vi siete allontanati.
—«Avevamo litigato proprio per il suo stile di vita. “Mi farai crepare di dispiacere”, urlai. L’estate prima che morisse però mi ha richiamato e abbiamo fatto pace. Voleva scappare da Roma, tornare a Genova. Si era riproposto come sceneggiatore, era bravo, ma poi ci fu il Covid e tutti i suoi progetti si bloccarono lì».
L’ultimo ricordo.
—«Una settimana prima che mancasse, gli ho telefonato per invitarlo a trascorrere insieme le feste di Natale. “Preferisco restare a casa mia”. Aveva la voce affaticata, sofferente, impastata. Era il preludio della fine».
L’immagine che ha fissato nella mente.
—«Quando col rasoio mi sistemava ciuffo e basette, facendomi chinare la testa sul lavandino. “Ma come vai in giro? Vieni qua che te li aggiusto io. Era il suo modo per dirmi:”Ti voglio bene”».
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