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Getty Images
Giulia Vecchio, attrice classe 1993, si è imposta al grande pubblico con due personaggi: Milly Carlucci e Monica Setta, imitazioni che hanno fatto il giro del web, scatenato risate e qualche polemica. "Le imitazioni le ho sempre fatte, fin da quando ero piccola, come arma per divertire parenti e amici, per intrattenere a feste, battesimi e cresime. Anche ai provini le proponevo: prendevo spunto da persone che conoscevo, oppure puntavo su dialetti e accenti particolari", racconta l'attrice al Corriere della Sera.
«Come se mi avessero detto: ti diamo le chiavi del Paese dei Balocchi. È stato bellissimo».
«Da un suggerimento di Federico Basso, il comico. Eravamo a Comedy Match, stavamo facendo le prove, parlando del più del meno, e lui mi ha detto che mi vedeva bene come Milly Carlucci. Da lì mi è rimasta in testa».
«Monica Setta non la conoscevo per niente. Mi sono imbattuta nel suo Generazione Z e già lì mi ha colpito che parlasse di una generazione che non era la sua. Poi ho visto Donne al bivio e mi faceva sorridere il suo modo di affrontare le interviste femminili. E ho iniziato a studiarla. Quando l’ho proposta alla Gialappa, loro avevano qualche dubbio».
«Perché abbiamo trovato le chiavi comiche giuste. Ci tengo a dire che il centro dello sketch è far ridere sull’intervista e sul come in generale si affrontano le interviste in alcuni tipi di programmi soprattutto se femminili. E Monica Setta era un personaggio che regalava micce che a livello teatrale ho esasperato».
«Era però appunto una maschera, non la realtà, come accade sempre nelle caricature. La scelta è dipesa anche dalle caratteristiche della mia conformazione della testa e del volto. Umanamente mi dispiace che se la sia presa però il diritto alla libertà di espressione e di satira fa parte della Costituzione. La satira e la parodia devono essere libere, ovviamente senza ledere la dignità personale. Se poi c’è stata una deriva social mi dispiace, ma non è responsabilità mia, è un problema di questa epoca di hater che va affrontato in altre sedi».
(Corriere della Sera)
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