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Rummenigge: “Ai miei tempi un calciatore poteva fare ogni tanto cose normali. Alcol e…”

Rummenigge: “Ai miei tempi un calciatore poteva fare ogni tanto cose normali. Alcol e…” - immagine 1
Intervistato dal Corriere della Sera, Kalle Rummenigge ricorda il suo periodo in nerazzurro e non solo
Gianni

Intervistato dal Corriere della Sera, Kalle Rummenigge, che giovedì compie 70 anni, ricorda alcune delle tappe più importanti della sua carriera. "Quando giocavo nel Bayern le mie uscite dopo le partite in discoteca e con un po’ di alcol le ho fatte. A differenza di oggi, un calciatore poteva fare ogni tanto le cose normali di un ragazzo della sua età. Ed era un vantaggio".

Lei resta uno dei simboli della grande Germania, ha vinto due Palloni d’oro, un Europeo, due Coppe dei campioni, ma ha perso anche due finali Mondiali. È vero che si impara più dalle vittorie o dalle sconfitte?

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«Si impara solo dalle sconfitte, per capire come vincere la prossima volta. In questo il calcio è come la vita».

Rossi e Maradona sono i due avversari generazionali che le hanno tolto il Mondiale. Cosa ammirava di loro?

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«Erano totalmente diversi. Paolo era il classico italiano, bravo in area, sempre allegro, divertente, leggero. Era un piacere stare con lui. Maradona ha avuto una vita più complicata. Per me è stato il più grande di tutti i tempi e sono contento di avere sempre avuto un bel rapporto con lui: sono andato a trovarlo a Buenos Aires e ho capito che non era in grado di uscire dal tunnel che si era costruito».

Nel 1986 bruciò di più la sconfitta rispetto al 1982?

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«Non c’è dubbio. L’Italia meritava quel Mondiale e in quella finale lo ha confermato. Con l’Argentina eravamo arrivati sul 2-2, ma abbiamo sbagliato cercando di fare il terzo gol. Però ho sempre pensato che avevamo perso contro Maradona, che in campo era come un dio».

C’è un difensore che la faceva diventare matto?

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«Due. Claudio Gentile e Karl Heinz Forster. Gentile mi stava marcando a Firenze, con la maglia della Fiorentina. Ho fatto gol e assist e mi ha detto: “Se fai altro, ti ammazzo!”».

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Il suo gol più bello resta quello con l’Inter annullato contro i Glasgow Rangers in Coppa Uefa 1984?

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«Purtroppo sì, ma alla fine è diventato famoso proprio perché non è stato convalidato per gioco pericoloso. E l’arbitro era pure tedesco».

L’emozione più forte nel calcio italiano?

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«Nella prima partita a San Siro, contro l’Avellino in Coppa: un benvenuto mai ricevuto in vita mia, con lo stadio che chiamava il mio nome mentre aspettavo nel tunnel».

L’Italia quanto ha cambiato la sua filosofia di vita?

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«L’ha cambiata totalmente e ringrazierò sempre gli italiani, non solo i milanesi. La mia famiglia si è sempre sentita bene. Ho imparato tante cose, anche a vestirmi, che non era il mio forte: quando tornavo in Germania venivo visto come un gentiluomo italiano».

Il rimpianto di non aver vinto con l’Inter resta forte?

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«Sì, per i tifosi, per i quali a volte mi venivano le lacrime e per il presidente Pellegrini che ci ha lasciati da poco».

Si è sentito più amato in Italia che in Germania?

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«È proprio così: in Germania mi hanno voluto bene, in Italia mi hanno amato».

(Corriere della Sera)