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Nocerino: “Consegnavo polli. Lasciare Napoli fu difficile, piangevo tutte le sere. A tavola…”

Nocerino: “Consegnavo polli. Lasciare Napoli fu difficile, piangevo tutte le sere. A tavola…” - immagine 1
Intervistato dalla Gazzetta dello Sport, Antonio Nocerino ripercorre la sua carriera
Gianni

Intervistato dalla Gazzetta dello Sport, Antonio Nocerino ripercorre la sua carriera. L'ex giocatore ricorda gli inizi difficili quando da Napoli dovette trasferirsi a Torino. "A sette anni di solito si scrive a Babbo Natale, io invece scrissi a Padre Pio".

Come mai?

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«Mia madre mi portava spesso a Lourdes. Un giorno le chiesi se Padre Pio mi avrebbe fatto diventare un calciatore, lei rispose di scriverlo su un foglio. “Tu prega e insisti”. Il resto è storia».

La fede non l’ha mai abbandonata?

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«Mai. Mio figlio si chiama Francesco in onore di Francesco Forgione, Padre Pio. Sono andato dozzine di volte a Pietrelcina, la sua città. In carriera ho indossato spesso il 23, il giorno in cui è morto. E quando la Juve mi chiamò in A ero a San Giovanni Rotondo, al santuario. Era l’estate 2007. La mia vita sportiva è un giro di coincidenze».

Se pensa al calcio cosa le viene in mente?

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«Le partite infinite in strada. Sono cresciuto a Napoli, quartiere Pallonetto di Santa Lucia, un posto dove impari in fretta a sopravvivere. Ero un bambino vivace, sveglio. Mamma casalinga, papà un ferroviere. A casa non si mangiava in maniera frequente. Ogni tanto aiutavo mio nonno a consegnare polli porta a porta, aveva una polleria. Mi hanno insegnato a stare bene con poco».

Nocerino: “Consegnavo polli. Lasciare Napoli fu difficile, piangevo tutte le sere. A tavola…”- immagine 2

La Juventus come la notò?

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«Per caso. Avevo 13 anni, mi allenava mio padre. Uno scout era ad Agnano per visionare un altro ragazzo e scovò me. Ero cicciottello, mi chiamavano “il panzerotto”, ma chiese subito chi fossi. Il bello è che prima dell’ultimo provino avevo dolori alla schiena e rischiai di non giocare. Mio padre mi convinse a farlo: segnai due gol in mezz’ora».

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Lasciare Napoli fu difficile?

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«Il giorno prima di partire, mia madre chiuse la porta e nascose le chiavi. Le dissi che sarei sceso dal balcone. Piangevo tutte le sere, c’era la nebbia e a noi del Sud ci trattavano male, ma non mollai. Alla Juve ho imparato disciplina e serietà».

(Gazzetta dello Sport)