A trent’anni dalla chiusura di Non è la Rai, uno dei programmi cult degli anni ’90, Alessia Merz torna a raccontarsi in una lunga intervista al Corriere della Sera. La soubrette trentina oggi ha 50 anni, una famiglia solida e una nuova consapevolezza. "Ho scelto di dedicarmi alla famiglia. Mi sono sposata con Fabio (Bazzani, ex calciatore) vent'anni fa e ho avuto Niccolò, 18 anni, e Martina, 17. Ancora oggi non sarei pronta a lavorare a tempo pieno. Mi è stato proposto più di un reality e non ho accettato, ad esempio "il Grande Fratello vip": non avrei la testa per far finta di litigare per un pezzo di pane. Primo perché sono molto competitiva, e poi stare lontana dalla mia famiglia per più di due giorni è impensabile. Ormai vado per i 51, ho già dato".


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Merz: “Così arrivai a Non è la Rai. Boncompagni delizioso, le ragazze meno. No social perché…”
Il mondo dello spettacolo è un capitolo chiuso?
—«No, sono aperta a lavori saltuari. Mi consentono di dedicarmi a me stessa, guadagnare i miei soldi, rivedere i colleghi: una "vacanza" dal tran-tran quotidiano. Mi piace fare l'opinionista, presenziare a serate o eventi, spesso sono ospite dalla Balivo, dove ho anche rivisto Cristina Quaranta dopo 30 anni; non ci si vedeva dai tempi di "Striscia"».

Anche sui social lei è assente: una rarità nel suo ambiente.
«È una scelta precisa. Avevo un profilo ufficiale che gestiva il mio agente storico, Epifanio "Fano": una figura paterna che mi ha sempre seguita e consigliata per il meglio, ma che è mancata lo scorso ottobre. Ci sono "finte me" online ma non sono io. Far sapere i miei fatti non mi interessa e credo che a nessuno interessi sapere cosa mangio a colazione o di che colore ho il costume. Dopo anni sotto i riflettori, oggi tengo molto alla mia privacy. Mi capita di perdere dei lavori per questo, per le pubblicità ora cercano le influencer, ma sto meglio senza».

Torniamo agli inizi. Come fu l'impatto con Roma e "Non è la Rai"?
—«Uno shock. Ricordo ancora il viaggio in treno per Roma, le valigie, i pianti. A Trento, una città chiusa a quell'epoca, non fu ben vista la mia scelta: sembrava andassi a fare "la poco di buono". Fu Pino Insegno a suggerirmi il provino: mi ospitò a casa dei suoi per rassicurarmi sulle sue intenzioni. Quando mi hanno presa, non potevo crederci; furono i miei a dire: adesso vai e ci provi. Ero timidina e in studio, al Palatino, la solidarietà femminile era poca: le ragazze più "sgamate" non ti lasciavano nemmeno sedere in prima fila. Ma lì mi sono formata il carattere. I miei genitori mi imposero di continuare a studiare, mentre molte altre abbandonavano la scuola o addirittura i loro genitori lasciavano il lavoro per seguirle, convinti che "Non è la Rai" fosse il punto d'arrivo».
Dopo trent'anni "Non è la Rai" è ancora un fenomeno. Che effetto le fa?
—«Godo! È un cult, un programma che tutti hanno visto, anche se molti per snobismo facevano finta di non conoscerlo. Gianni Boncompagni è stato lungimirante, ha creato un fenomeno incredibile e, se oggi sono chi sono, lo devo a "Non è la Rai". Molte colleghe lo rinnegano, io no. Eravamo definite "donne oggetto", "Lolite", facevamo scalpore, ma eravamo vestitissime, cantavamo e ballavamo. La malizia era in chi guardava».
Il cliché "velina-calciatore" lo ha vissuto?
—«Era molto sentito, ma l'ho sfatato! Dopo vent'anni di matrimonio festeggiati l'11 giugno direi che, a prescindere dalle rispettive professioni, eravamo Alessia e Fabio. E lo siamo ancora oggi».
Tra le sue colleghe di "Non è la Rai", c'è qualcuna di cui ha seguito con particolare interesse l'evoluzione?
—«Ambra l'ho seguita molto: nonostante fosse bistrattata, per via dell'auricolare con cui si diceva che Boncompagni la "telecomandasse", ho sempre visto in lei enorme potenziale. E infatti ha avuto una carriera bellissima, a teatro ma anche al cinema: meritatissima. Anche Sabrina Impacciatore è bravissima ed è arrivata lontano; avrebbe meritato più spazio in Italia».
(Corriere della Sera)
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