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La Santarelli ed il tumore del figlio: “Mai pianto davanti a lui, ora corre e ride. Tutte le critiche…”

La modella e showgirl racconta la maglia del figlio

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Lunga intervista concessa da Elena Santarelli al Corriere della Sera. La compagna dell'ex calciatore Bernardo Corradi ha parlato della malattia che ha colpito il figlio, analizzando anche le critiche ricevute sui social:

"Se ho mai pianto davanti a lui? Mai, mai, mai. A volte, mi chiedo: com’è possibile? Ma in certi frangenti, la forza arriva. Io non ho mai trattato mio figlio da malato, gli ho sempre detto che, mentre si fanno le chemio, si studia e questo ha creato una normalità nella mia vita e nella sua. Non è detto che un tumore annienti la vita. Ogni caso è diverso, ma mio figlio corre, mangia, ride, ha una vita normale al 60-80 per cento. Vorrei che le mamme avessero speranza».

Se le dico: 30 novembre?

«La cosa peggiore è che non ero presente alla risonanza. Ero stata operata all’anca e avevo stampelle e dolori, è andato solo Bernardo, ma non avevamo sospetti, era un esame fatto per precauzione. Quando mio marito è tornato a casa, gliel’ho letto in faccia. Sono andata in bagno e ho vomitato. Poi, mi sono messa a piangere in silenzio, per non farmi sentire da mio figlio. Giacomo mi ha chiesto di giocare alla Playstation e l’ho fatto. Ho passato la notte su Internet a cercare le parole del referto e a chiamare amici che conoscevano medici».

Perché suo figlio faceva accertamenti?

«Intuito materno. Stava bene, ma mi sembrava strano».

Dopo, che è successo?

«Siamo andati al Bambin Gesù, il professor Franco Locatelli e la dottoressa Angela Mastronuzzi ci hanno detto “vi dovete sedere”. Ricordo solo io che mi ripetevo: tuo figlio ha un tumore. Non potevo non pensare alla morte».

E di morte si era parlato?

«No. Senza esame istologico e profilo di metilazione, non puoi prevedere le percentuali di sopravvivenza. Poi, ci sono risonanze che dicono che si è troppo oltre per una cura, ma non è la nostra storia. La paura della morte era solo nella mia testa».

Invece, inizia la speranza.

«La prima sera in reparto è stata la più dura. Non volevo che Giacomo vedesse i bambini intubati, non potevamo dirgli subito: ora fai la chemio, perdi i capelli, combatti le cellule. Ci siamo arrivati piano piano con l’aiuto, fondamentale, degli psicologi».

Che ha dovuto imparare ?

«A comportarmi come se niente fosse. I primi giorni, stavo come una scappata di casa e non è da me. I bimbi sono astuti, ho capito che dovevo farmi la piega, mettere il solito rossetto, anche se mi sentivo giudicata, in ospedale, col rossetto. Ma ho fatto bene. Quando gli do un calcio nel sedere, bonariamente, non mi dice “mamma, ho il tumore”. La malattia non l’ha cambiato molto, ha solo perso i capelli. Ma sono stanca di chi mi dice “tanto è maschio”. Io ragiono con la sua testa e so che ne soffre. Mi strapperei i miei capelli per darli a lui».

Sui social, c’è chi ha augurato il cancro anche a lei.

«Avrei voluto urlare contro tutte quelle cattiverie, ma sono tante di più le persone che mi esprimono affetto».

Perché aveva raccontato su Instagram di suo figlio?

«Per ringraziare i medici e aiutare le associazioni. Era Pasqua e Heal ha venduto per beneficenza uova come mai».

Dopo gli attacchi, si è pentita di aver parlato?

«No, ma non avevo messo in conto tante lettere di persone coi figli malati o morti. Mi trovo a dare coraggio agli altri, ma anche io sono ancora nel mezzo del dolore, per quanto sia forte e veda anche gli aspetti positivi, che poteva andare peggio, che non abbiamo problemi economici… A me le lacrime escono quando vedo gli altri bimbi coi papà lontani o che dormono in auto… Non mi piace quando mi scrivono che sono una grande mamma. C’è un esercito di mamme di pari forza e pure lontane da casa. E io ora posso permettermi un tuffo in Versilia e mi sento in colpa, ma posto lo stesso la foto, per dire che non si deve smettere di vivere. Troppi giudicano senza sapere, senza capire. Ho scritto che ero a Trento per le cure e hanno avuto da ridire: perché Trento? Perché lì fanno la protonterapia, una radioterapia che non impatta su altri organi, ci segue la dottoressa Sabina Vennarini: ci vorrebbero più centri pubblici così all’avanguardia».

Che succede in una coppia quando un figlio si ammala?

«I primi giorni, ci guardavamo in silenzio, ma gli occhi parlano ed erano gli stessi pensieri. Insieme ci impegniamo a far sentire la normalità a Giacomo. Quando mio figlio dice che è più veloce di me ad asciugarsi i capelli, penso che, se scherza, abbiamo fatto centro».

Ora cosa vi attende?

«Aspettiamo di sentirci dire che siamo a fine terapia. Non sarà presto. Il percorso è lungo, confidiamo di essere nell’80 per cento che si salva».

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